Nell’augurarvi un
2024 di pace e prosperità, vi proponiamo oggi l’anteprima della
video-intervista, che troverete prossimamente nel nostro canale YouTube, a Gina
Stramaglia, insegnante a riposo impegnata qui in un “pellegrinaggio” sui luoghi
della sua infanzia. Dal 1949 al 1966, Gina ha vissuto tra uno stabile di via
Petrelli ed un altro lì vicino. Il percorso tra le sue memorie comincia nel
primo dei due palazzi. Il racconto è davvero di grande fascino, imperdibile. Il
primo elemento che attrae la nostra attenzione è la sua descrizione del lavoro
dei bucati per il vicinato, svolto dalla signora Lucrezia. A seguire: la
descrizione dell’abitazione con un unico lavello e uno stanzino con il water,
ma ambedue sul balcone; le giornate passate a stretto contatto con il vicinato
(tra gli inquilini, Gina ricorda in particolare la famiglia del professor
Pierfranco Moliterni); gli usci aperti da cui entravano e uscivano liberamente
tutti i bambini, allevati dall’intero vicinato, con regole uguali per tutti
loro, impartite in totale accordo fra gli adulti; la struttura dell’interno
dello stabile “a ringhiera”, cioè con un ballatoio comunicante fra tutti gli
appartamenti, presente molto più spesso al nord Italia, specialmente a Milano,
e tanto altro. Gina dice che, grazie al forte senso di comunità che c’era, lei
e gli altri bambini, allora si sentivano “protetti da un intero villaggio”. In
seguito, si sofferma sulla trasformazione del Libertà avvenuta nel tempo, anche
a causa della mancanza di attenzione delle autorità. Lamenta il fatto che in un
quartiere così grande manchino mezzi pubblici che lo attraversino, cosa che
“crea isolamento, crea ghetto”. Sottolinea la diffidenza di coloro che abitano
qui da sempre verso gli stranieri, poiché ritiene che l’integrazione sia
difficile quando sia da attuare tra fasce di popolazione con vari disagi, primo
fra tutti quello del lavoro. Eppure, “qui c’è una stratificazione culturale meravigliosa,
a partire dal dialetto”, per questo ci vorrebbero degli interventi che
permettano la conoscenza reciproca delle diverse nazionalità e quindi il
superamento delle incomprensioni. Ricorda la delusione dopo la mancata piena
realizzazione dell’autonomia degli enti locali, che a lei come a tanti altri
ventenni degli anni ’70 era sembrata la via giusta per “una maggiore
partecipazione dal basso e quindi un prendersi cura, ogni cittadino, del
proprio territorio”.