Una delle eredità dell'impero romano più durevoli e destinate ad incidere più in profondità nella storia dell'umanità è l'abbandono dell'antica religione politeista e l'assimilazione nelle strutture imperiali del cristianesimo e della sua organizzazione gerarchica. Si tratta di una decisione così cruciale per la storia dell'Occidente e del mondo intero da superare in importanza altri contributi essenziali che l'impero romano ha offerto al mondo, come la lingua latina, l'alfabeto, il calendario, il pensiero giuridico, l'estetica, la letteratura ecc. La conversione al cristianesimo avviene da un lato gradualmente, dall'altro in modo inaspettato e improvviso. La prima affermazione si giustifica se prendiamo in considerazione i tempi che furono necessari affinché il cristianesimo passasse dallo status di 'religio licita' a religione unica di stato: parecchi decenni. Il cammino comincia all'inizio del IV secolo e si perfeziona alla fine di quel secolo stesso, e il processo conosce in quegli anni momenti di accelerazione, momenti di stasi e persino momenti di ritorno ad un passato precristiano. L'affermazione relativa alla natura inopinata della svolta cristiana si giustifica con riferimento ai tempi delle ultime persecuzioni cristiane, che precedeono di pochi anni l'impero di Costantino. È veramente complessa l'interpretazione della decisione tanto grave ed importante di Costantino, e la stessa prospettiva più comunemente accettata, ovvero la necessità di irrobustire e rivitalizzare le strutture imperiali ormai in piena decadenza mettendo a sistema le forze fresche e l'entusiasmo delle comunità cristiane, non sembra del tutto capace di esaurire il problema. Certo, in quel IV secolo un mondo stava tramontando ed un altro vedeva faticosamente la luce.