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Il 20 maggio 1928 lo Stadio Sardinero di Santander era sferzato dal vento. In un giorno normale vi si potevano ascoltare le onde del mare, a poche centinaia di metri da lì. Ma quel 20 maggio, sugli spalti, c’erano quindicimila spettatori in attesa della partita dell’anno. La finale di Coppa del Re, a quel tempo l’unico torneo nazionale di calcio in Spagna. La Liga spagnola, uno dei campionati di calcio oggi più seguiti del mondo, sarebbe nata soltanto l’anno seguente.

Lo Stadio di Santander era stato scelto come campo neutro per la finale, che si giocava come da tradizione in una gara unica. I tifosi del Real Sociedad avevano dovuto viaggiare per duecento chilometri, da San Sebastian, per seguire la loro squadra, che aveva vinto la Coppa per l’unica volta venti anni prima. Ben più strada avevano dovuto fare i tifosi dell’altra squadra finalista, fin da quegli anni ben più abituata ai trionfi: i blaugrana del Barcellona.

Uno dei più famosi poeti spagnoli era stato sugli spalti del Sardinero di Santander quel 20 maggio 1928. E ci ha lasciato dei versi che hanno reso quella partita immortale. Si chiamava Rafael Alberti.

Quei versi di Alberti comparvero su un giornale locale di Santander pochi giorni dopo la partita, prima di essere pubblicati, due anni dopo, nella sua raccolta Cal y canto. La data del match è del resto conservata nell’epigrafe della poesia, insieme alla dedica a José Samitier, detto el mago, il capitano del Barcellona di quegli anni. Si tratta di una delle prime poesie dedicate al calcio, un tema decisamente insolito negli ambienti letterari di quel tempo. Ma ciò che rende davvero unici questi versi è l’aver reso immortale non solo una partita di calcio, ma un calciatore in particolare tra i ventidue in campo. E non un calciatore qualunque, ma il portiere di una delle due squadre: un ruolo destinato ad avere, nell’immaginario collettivo e specialmente in quello degli scrittori e poeti del Novecento, una fortuna particolare.

Il portiere è quello del Barcellona, ed era nato in Ungheria con il nome Ferenc Platko. Dopo il trasferimento in Austria diventerà poi Franz Platko, e infine resterà nella storia come Francisco Platko. Era insomma un uomo che legava, al paese in cui viveva, non solo la sua sorte, ma il suo stesso nome. E con il nome spagnolo conquisterà i suoi più grandi successi: prima da giocatore, nel Barcellona, e poi da allenatore, dopo aver attraversato l’oceano ed essere approdato a Santiago del Cile, sulla panchina del Colo Colo.

È a lui che Rafael Alberti dedica un’Ode a Platko. L’eroe di un pomeriggio in una partita di calcio diventa, grazie al tocco lirico di un grande poeta, un eroe immortale della letteratura spagnola.