La fine della stagione è il periodo in cui si fanno i saldi. A vederla così pare che anche DVL voglia fare lo stesso dato che vi propone due episodi a strettissimo giro per non lasciare la vostra estate scoperta dalle nostre chiacchiere. Ma in realtà non è così. Qualche ritardo aggiunto a buone idee non portano prodotti mediocri da cestone vicino alla cassa, ma portano altri nuovi interessanti spunti. In questo caso Alex Raccuglia si è fatto prendere da alcune curiosità autoriali e cinematografiche a tal punto da volerne fare un episodio costringendo il Pizzi a mettergli su un episodio in fretta e in furia. Ma il podcaster nazional popolare non si è nemmeno scompigliato dall’emergenza e gli ha subito apparecchiato l’episodio che Alex voleva.
Quindi, nell’assenza generale, oltre al solito, sempre affaticato Biggio, ecco l’ospitone di questa puntata, ossia Alessio di Orediorrore Channel!
Ma di cosa si è parlato?
Se il cinema è la settima arte, allora, forse, possiamo anche azzardarci a dire che i videogiochi ne sono l’ottava. Videogiochi e cinema sono strettamente legati, se non altro per il fatto che sono due arti nate nello stesso secolo, più o meno, e che, fondamentalmente, basano la maggior parte della loro comunicazione sull’ambito audiovisivo. I videogiochi sono una disciplina giovane, talmente giovane che non ha ancora sviluppato una sua maturità, ma continua ad attingere alle altre arti e alle altre forme di linguaggio. Il cinema sopra le altre. Quante volte ci siamo messi a guardare un videogioco e a pensare “sembra un film!”. Quasi mai, invece, ci siamo messi a dire “sembra la realtà!”. Per certi versi il linguaggio del videogioco non si è ancora fatto e dunque si basa su altri stili e stilemi, su altre ipotesi, su altri assiomi. Il fatto che il videogioco derivi parte della sua comunicazione non interattiva sul cinema fa sì che, purtroppo, spesso e volentieri, il videogioco attinga più che alle strutture agli stereotipi del cinema stesso. Questo ci fa dire spesso “è scritto bene per essere un videogioco” è quasi mai “è scritto bene”. Un po’ come se il soffitto, il cielo del videogioco fosse il pavimento del cinema. E il fatto che il videogioco sia un mezzo intrinsecamente interattivo, fa sì che l’autore, lo sceneggiatore, il creatore del videogioco sia costretto a lasciare, suo malgrado, una certa dose di libero arbitrio nei confronti del protagonista assoluto del videogioco: il giocatore. Questo significa che la storia non può essere raccontata al 100% dall’autore ma viene svolta, dipanata, vissuta, e infine scritta da chi la sta giocando. Se sei un autore di un romanzo, di una piéce teatrale o di un film, sei il padrone assoluto di tutti personaggi della vicenda, e di come questa arriva al termine. Soprattutto sei il padrone assoluto del percorso del protagonista: sai dove inizia e sai come e dove va a finire. Nei videogiochi si possono tracciare delle linee, costringere il giocatore a seguire dei percorsi prestabiliti, e non è soltanto una metafora… Fatto sta, però, che l’autore non avrà mai la libertà completa di raccontare la storia in senso assoluto. Per questo motivo, da tempo immemore, gli autori di videogiochi si sono sentiti costretti, imbrigliati, incatenati ad un linguaggio che non lasciasse loro la libertà totale di essere i padroni assoluti della storia che stavano raccontando. E alcuni di essi, qualche volta, hanno tentato di oltrepassare questi confini, dedicandosi ad espressioni meno interattive ma più autoriali. Nell’arte non vige la democrazia, ma la monarchia assoluta, e il regista di un film, l’autore di un romanzo sono tiranni paragonabili a Dio, creatore dell’universo, anzi no, essi stessi l’intero universo. Ed è per questo motivo che oggi parliamo del rapporto tra cinema e videogiochi
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