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La centralità dell’uomo, idea sempre ricordata quando si parla di umanesimo, va intesa in due modi distinti. Nella prima metà del Quattrocento, soprattutto a Firenze, l’uomo viene visto come un complesso psico-fisico integrato: in un quadro che disdegna la metafisica, la centralità dell’uomo non riguarda solo la sua anima, ma anche il suo corpo, e le sue attività mondane, sociali, politiche. Senza abbandonare il cristianesimo, si preferisce una fede operosa, al servizio del concreto benessere dell’individuo, della famiglia, dello Stato. La “vita activa” viene esaltata a scapito della vita contemplativa. Viene condannato l’isolamento del monaco, come l’ozio letterario dell’intellettuale che non si traduce in realizzazioni pratiche. La vita non viene più vita come un momento di passaggio in vista di un obiettivo tutto trascendente. Si può fare qualcosa di buono anche qui e ora, su questa terra: l’essere umano può realizzarsi anche nella sua dimensione fisica, producendo opere d’arte e buone leggi. I primi umanisti fiorentini sono cancellieri “impegnati” in politica, e non sono intellettuali puri, bensì architetti, giuristi, amministratori pubblici. Si scrivono trattati sulla famiglia o sull’autonomia. Il successo in società, l’affermazione negli affari, l’arricchimento, non sono più malvisti come nel Medioevo, ma al contrario esaltati. C’è chi scrive addirittura che “i poveri sono inutili”. Sono evidentissimi i motivi che anticipano la mentalità della Riforma protestante e del capitalismo moderno: anche se individuati da molti studiosi, tali motivi di fondo spesso sono sottovalutati o occultati, e per questo qui li si vuole mettere in evidenza. Sottovalutato è anche il fondo deterministico pre-scientifico e pre-calvinistico che permea in maniera globale l’umanesimo. L’idea di un libero arbitrio integrale non trova riscontro nei testi, neppure in quelli di Pico della Mirandola: si tratta di un mito storiografico, di un equivoco.

Nella seconda metà del Quattrocento la libertà politica termina a Firenze, con l’affermazione della famiglia dei Medici. Così anche la centralità dell’uomo viene intesa in un secondo modo: non più da un punto di vista pratico, politico, mondano, ma dal punto di vista dell’anima. Ritorna in auge la metafisica, ma con la novità dell’uomo individuato come punto mediano del cosmo.

Al centro della lezione viene fornito un quadro dell’umanesimo “evangelico” europeo. Naturalmente alcuni degli autori citati saranno ripresi nelle lezioni a loro dedicate.

La laicizzazione della cultura si nota anche nell’autonomizzazione delle diverse discipline dalla teologia. Il diritto, la filosofia, la politica, la morale, provano a basarsi su principi propri.

Caratteristica del periodo sono nuovi centri di cultura come le corti e le Università. Essi sono stati criticati per la loro chiusura, che ben presto li isolò dal mondo reale, e per il mecenatismo, che asservisce l’intellettuale al prìncipe. L’elitismo dei centri di cultura umanistico-rinascimentali si evince anche dall’uso del latino classico o di un volgare molto aulico, lingue padroneggiate da una ristretta cerchia di sapienti.