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Nella quarta “Meditazione” Cartesio si trova a dover giustificare l’esistenza dell’errore. Infatti l’intelletto, come connotato precedentemente, sembrerebbe non poter sbagliare, collegato con Dio e pieno di idee innate e veritiere forniteci da Dio stesso. Cartesio spiega che l’intelletto ha un raggio d’azione limitato: molte idee derivano dai sensi, e si presentano in maniera ingannevole all’intelletto. In molti casi l’intelletto dovrebbe sospendere il giudizio, quando non possiede dati sufficienti per dare l’assenso e formulare un giudizio. Cartesio sostiene che Dio non ci ha fornito una facoltà specifica per l’errore. L’errore è mancanza di conoscenza. L’intelletto di per sé non può sbagliare, ma spesso l’intelletto viene sovrastato dalla volontà, una facoltà pratica e non teoretica, che maggiore estensione dell’intelletto. Quando l’intelletto non è certo di una verità, la volontà interviene e lo induce a sbagliare: per precipitazione, per motivi passionali o utilitaristici, per l’interferenza di sentimenti.
Cartesio spiega che Dio ci ha consentito di sbagliare perché ci ha creato liberi, e l’errore rientra nel libero arbitrio.
Infine Cartesio cerca di dimostrare che i sapienti posso ridurre gli errori assumendo un habitus in cui l’intelletto tiene a bada la volontà.