Il paradigma scientifico del meccanicismo si afferma all’inizio del Seicento e permarrà per più di due secoli. All’idea di un universo interpretato come un grande organismo, spesso con venature vitalistiche, si sostituisce la visione dell’universo-macchina, omogeneo e basato su leggi inviolabili. A partire da Aristotele le cause finali erano state viste come le più idonee ad interpretare i fenomeni: ora vengono sostituite dalle cause efficienti che agiscono attraverso urti diretti. Il finalismo e il provvidenzialismo divino, se esistono, sono nascosti e imperscrutabili: così la pensa anche Cartesio, che rende Dio un garante scientifico dei princìpi del meccanicismo: Dio avrebbe creato una determinata quantità di materia, e le avrebbe impresso una determinata quantità di moto, che resta per sempre costante. Poi avrebbe abbandonato le sue creature alle cause meccaniche. La materia, priva di princìpi di forza e di azione, è dunque sottoposta esclusivamente a un movimento inerziale.
Esistono due modelli principali di meccanismo. Cartesio identifica lo spazio con la materia, considerata come mera estensione. Ne deriva l’impossibilità del vuoto. Gli esperimenti favorevoli al vuoto sembrano dare ragione al modello alternativo (teorizzato da Gassendi e da altri), che sostiene l’esistenza non di una materia continua, bensì di corpuscoli che si muovono nel vuoto.