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Dopo aver dimostrato l’esistenza dell’io come “res cogitans”, Cartesio introduce il problema del criterio di verità. Soltanto dimostrando l’esistenza di Dio, di un Dio che non mi inganna, il criterio di verità potrà essere considerato veridico. Il criterio di verità stabilisce che ogni cosa che mi appare alla mente con i caratteri dell’autoevidenza, della chiarezza e della distinzione, è vera.
Cartesio è sottoposto all’insidiosa obiezione di circolo vizioso. Infatti sembra che egli abbia già utilizzato il criterio di verità per dimostrare l’io penso, in cui si trova l’idea di Dio. Quindi l’idea di Dio fonda il criterio di verità, che però è già stato supposto per arrivare a Dio prima di essere dimostrato. Cartesio non risponde in maniera chiara a questa obiezione.
Cartesio elabora una prima classificazione delle idee in base alla loro origine, che però ha un valore relativo, giacché tutte le idee al di fuori dell’io penso sono state revocate in dubbio. Tuttavia è importante che Cartesio descriva una classe di idee, tra cui Dio, che “sembrano” innate in quanto presenti nell’intelletto senza derivare dai sensi. Cartesio poi ci dà una seconda classificazione delle idee, in cui esse sono distinte in base al grado di realtà oggettiva. Qui si innesta la prima delle tre prove cartesiane dell’esistenza di Dio, basata sulla tesi che l’idea di Dio, avendo una realtà oggettiva infinita, debba essere stata prodotta da una causa infinita, che non può essere che Dio, e non l’io che ha una realtà finita. Questa è la più importante e la più tipica delle tre argomentazioni cartesiane, perché si regge sull’innatismo delle idee.
La seconda e la terza prova dell’esistenza di Dio sono riscritture di argomenti elaborati già nel Medioevo. La seconda prova, a posteriori, somiglia alla “via ex causa” di Tommaso d’Aquino. Ricercando la causa efficiente dell’unica cosa che finora abbiamo ammesso come esistente, ovvero l’io, si arriva all’esistenza di una causa non causata che ha tratto l’essere dal nulla, la quale che non può non essere Dio. La prova è rafforzata da un argomento per assurdo; infatti se io avessi avuto il potere di darmi l’essere da solo, mi sarei fatti Dio, e non un essere finito. La terza prova somiglia a quella, a priori, di Anselmo d’Aosta. L’idea di Dio nella mia mente è l’idea di un essere perfettissimo. Siccome l’esistenza è una delle perfezioni, non pensare Dio esistente mi farebbe cadere in una contraddizione logica, poiché Dio non sarebbe più l’idea più perfetta di tutte. Anche in questo caso abbiamo un’aggiunta cartesiana: Dio è paragonato nella sua autoevidenza alle idee matematiche.
L’ammissione dell’esistenza di un Dio perfettissimo, quindi anche sommamente buono, come detto mi rende certo del criterio di verità; poiché un Dio sommamente buono non può ingannarmi. Inoltre un Dio che non mi inganna scaccia l’ipotesi del genio maligno, e quindi dimostra l’esistenza delle idee dell’intelletto non derivanti dai sensi, che in precedenza erano state messe in dubbio solo dall’ipotesi del genio maligno. Esse sono innate e inserite nella mia mente da Dio stesso. Così Dio diventa una sorta di garante scientifico. Tuttavia Dio non può dimostrare anche l’esistenza dei corpi, poiché i sensi a differenza dell’intelletto continuano ad ingannarmi. Lo sforzo da parte di Cartesio di revocare dal dubbio anche l’esistenza dei corpi sarà lungo, contorto e in definitiva incerto.