Seconda videolezione sull’etica aristotelica. Come abbiamo visto nella lezione precedente, non basta la conoscenza razionale della virtù per metterla in pratica: le virtù dianoetiche (intellettualistiche) restano inespresse senza l’intervento di due virtù etiche (pratiche) fondamentali: l’esercizio e la volontà. Le virtù etiche sono relative, e vanno calcolate in base alle circostanze. Il risultato del calcolo è il giusto mezzo tra due estremi. Per esempio, la virtù etica del coraggio è il giusto mezzo tra temerarietà e virtù; e la virtù etica della liberalità è il giusto mezzo tra prodigalità e avarizia. Molto importante per Aristotele è la virtù etica della magnanimità. La rivalutazione e la relativa autonomia delle virtù etiche, che permette anche all’uomo comune di comportarsi in maniera virtuosa nella vita quotidiana, non ci deve far dimenticare che le virtù dianoetiche (intellettualistiche) sono più nobili di esse, e in molti casi le guidano. Infatti il calcolo del giusto mezzo di una virtù etica viene realizzato da una virtù dianoetica, cioè la phrónesis, la saggezza (che esprime la facoltà calcolativa dell’anima razionale), che tuttavia può appartenere a tutti. La saggezza porta alla felicità nella vita pratica, ma non si tratta della massima felicità. La virtù dianoetica più importante è la sophía, la sapienza (che esprime la facoltà scientifica dell’anima razionale), la quale appartiene solo ai filosofi. La sophía è la virtù più nobile di tutte, e corrisponde al sommo bene. La sophía porta alla felicità il sapiente. La sophía è la contemplazione fine a sé stessa, ricercata per sé stessa, premio a sé stessa, priva di ogni ricaduta materiale e utilitaristica. La ricerca filosofica, per definizione non serve a niente, e può essere praticata solo da persone libere da necessità quotidiane. Il pensare per il pensare avvicina l’essere umano che si fa filosofo al dio, al motore immobile. Il pensiero filosofico è l’attività più nobile in assoluto. L’etica aristotelica possiede un risvolto importante a livello politico, che sarà approfondito nella prossima lezione. A differenza di Platone, Aristotele ritiene che non necessariamente i filosofi (che eccellono nell’attività teoretica) siano adatti a governare. Per governare sono necessarie anche facoltà dianoetiche, pratiche, senza le quali la deliberazione razionale può non tradursi in pratica. Anzi, Aristotele sembra sconsigliare la politica ai filosofi. Essi trovano la loro felicità nella dimensione contemplativa, e a tale contemplazione possono dedicarsi senza i condizionamenti della vita pratica.