Il pensiero di Platone, a differenza di quel che molti pensano, ha un’origine e uno scopo politico. Lo scandalo della democrazia che manda a morte ingiustamente Socrate, spinge Platone a riflettere su cosa sia la giustizia, e a ricercare su quali basi oggettive possa esistere una società giusta. Sulla scia dell’intellettualismo etico socratico, Platone si convince che solo chi conosce il bene può metterlo in pratica, può governare. Ma si tratta del Bene con la lettera maiuscola, il Bene in sé, l’idea-forma del Bene, che non nasce, non muta, sempre uguale a sé stesso. Da qui la critica al relativismo dei sofisti e al loro rifiuto di una verità oggettiva. Platone quindi trasforma l’universale logico socratico in un’entità ontologica realmente esistente. Il vero essere non è ciò che si trasforma, ciò che è materiale, ciò che è composto di parti, ciò che viene attinto dalla conoscenza sensibile schiava dell’apparenza. Il vero essere è una realtà intelligibile che esiste in un mondo intelligibile, di cui tutti gli oggetti sensibili del mondo sensibile sono copie illanguidite rispetto a un modello, un archetipo. Dunque l’ontologia platonica è di stampo dualistico. Esistono due dimensioni, due livelli dell’essere. Un mondo trascendente, intelligibile, conosciuto dalla conoscenza intelligibile, la conoscenza dell’anima (epistéme), e un mondo sensibile, conosciuto dall’illusoria conoscenza sensibile (dóxa).