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Il liberalismo di John Stuart Mill, come quello di Jeremy Bentham, presenta caratteristiche radicali. Da questo punto di vista i due pensatori possono essere utilmente paragonati in molti ambiti. Ad esempio entrambi rifiutano la religione, anche se Bentham lo fa in maniera più netta (fondò il primo collegio universitario in cui la partecipazione alle funzioni religiose non era richiesta), mentre Mill ipotizza l’esistenza di un Dio non onnipotente, che rappresenta una “speranza” su cui però nulla di dimostrativo si può affermare. In tal senso Mill anticipa la teoria di Spencer sull’inconoscibile. Entrambi accusano Comte di autoritarismo, e difendono la democrazia rappresentativa e i diritti dell’individuo. In fondo autori come Bentham, Mill o altri liberali inglesi, possono essere considerati positivisti fino ad un certo punto: essi rinunciano alla sociologia come strumento per dominare e governare la società da parte di pochi scienziati sociali. Il loro positivismo si limita al tentativo di elaborare la psicologia o altre scienze umane come scienze sperimentali. Pur essendo anch’egli utilitarista in morale, Mill critica il suo maestro Bentham per aver privilegiato il piacere fisico a scapito di quello intellettuale. Mill in economia propugna la “teoria dell’indipendenza”, in base alla quale i ceti più poveri dovrebbero trovare da sé le modalità per migliorare la loro condizione (non dovrebbero essere i più ricchi a prescriverla).
Notevolissima è la difesa della parità intellettuale delle donne e la rivendicazione dei loro diritti sociali e politici, sostenuta nell’opera “Sulla libertà delle donne”, scritta a quattro mani insieme alla moglie Harriet Taylor.
Mill è famoso per la sua difesa della libertà dell’individuo. Le sue riflessioni si incentrano sul tema della limitazione delle libertà che si stava verificando nelle società democratiche, le quali si rivelano solo apparentemente tolleranti, giacché spesso impediscono l’espressione dei talenti e dei gusti dei cittadini attraverso la “dittatura della maggioranza” e il “sentimento prevalente”. Il conformismo, l’omologazione, schiacciano l’effettiva manifestazione della personalità umana. Mill mette in evidenza che, oltre alle tradizionali libertà di espressione, di stampa, di culto, sarebbe necessario prestare maggiore attenzione alla “libertà di gusto”, ovvero al diritto di condurre la propria vita come si vuole, anche nelle piccole scelte quotidiane. La cosiddetta maggioranza silenziosa non ha più bisogno di leggi repressive per reprimere le minoranze. Nessuno sulla carta ti vieta di vestirti e comportarti in maniera in maniera eccentrica, ma di fatto questo ti viene impedito dalla riprovazione sociale che ti esclude e ti marginalizza.
Mill al contrario pensa che una nazione diventi più forte se al suo interno le idee e i gusti sono molteplici, estremamente diversificati, e persino anticonformisti, stravaganti, bizzarri. Nessuno, neanche gli estremisti, dovrebbero essere censurati.
Secondo Mill la libertà di un individuo può essere limitata solo quando invade la sfera della libertà dell’altro. L’individuo prevale sullo Stato. Il potere politico non può impedire al cittadino di danneggiare se stesso, ad esempio assumendo alimenti o sostanze dannose (Mill è un antiprobizionista ante litteram). Lo Stato non può impormi una morale o un’ideologia.
Il trattato “On Liberty” di John Stuart Mill, è una delle più limpide e appassionate difese delle libertà dell’individuo che siano mai state scritte.