La divisione in classi della Repubblica non è rigida. Nessuno degli adulti può passare da una classe all’altra, ma i loro figli sì. Attraverso un’educazione in comune con un curriculum ben delineato, gestita dallo Stato e non dalla famiglia (anche laddove la famiglia non è abolita, ovvero tra i lavoratori, i figli sono sottratti ai genitori in tenera età), giunti a vent’anni si attua una selezione che decide l’appartenenza di classe in base al riconoscimento di propensioni innate, ma che possono essere diverse da quelle dei genitori. Anche un figlio di lavoratori può diventare filosofo-governante, o viceversa. E persino le donne hanno le stesse opportunità degli uomini e sono trattate allo stesso modo. La meritocrazia insita in questo meccanismo, che elimina influenze e favoritismi familiari, sociali ed economici, tuttavia non lascia spazio alle libertà di scelta del singolo. Il bene del singolo si identifica con il bene dello Stato, deciso da una cerchia di filosofi che non sono scelti dai cittadini ma si autoperpetuano con un meccanismo di cooptazione. Una volta avvenuta la selezione, per soldati e lavoratori si tratta di continuare solo con un’istruzione tecnica. Invece i filosofi destinati a governare prolungheranno la loro formazione in età adulta fino a cinquant’anni. Il profondo moralismo dello Stato platonico mete al bando (quasi) ogni forma d’arte, considerata diseducativa e deviante rispetto alla realtà.