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Nella prima metà del Quattrocento, soprattutto a Firenze, si parla di “umanesimo civile”. Il rifiuto della metafisica e l’esaltazione di discipline più pratiche come la giurisprudenza e la medicina caratterizza un gruppo di “umanisti cancellieri”. Coluccio Salutati è il primo in cui risuona chiaramente la condanna dell’ascetismo e la rivalutazione della “vita activa”, oltre al tema precalvinistico della predestinazione. Leonardo Bruni arriva a giustificare l’arricchimento e il successo professionale. Questo tema viene ripreso anche da Poggio Bracciolini, che considera i poveri “inutili”. Il limite di questa apparente mentalità protocapitalistica risiede nel fatto che la funzione delle ricchezze, secondo Bruni e Bracciolini, risiede nella possibilità del mecenatismo verso gli intellettuali, e non nell’investimento imprenditoriale. Anche nel pensiero di Bracciolini si evidenzia la difficoltà da parte dell’essere umano di esprimere pienamente il libero arbitrio senza l’assistenza di Dio. La fortuna, nel senso etimologico di “fors” (sorte) determina gli uomini senza che essi possano opporvisi.