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Sul “CONCETTO DELL’IO”...
Il concetto dell’io procura difficoltà a molti uomini. L’io dell’uomo si è evoluto movendo da un’anima di gruppo, da una specie di io generale, dal quale si è lentamente differenziato. Non sarebbe giusto che l’uomo avesse di nuovo il desiderio di sprofondare con il suo io in un qualsiasi stato di coscienza generale, di coscienza comune. Tutto quello che spinge l’uomo a perdere il suo “io”, a perdersi con esso in uno stato di coscienza generale, è un risultato della sua debolezza. Comprende l’io soltanto chi sa che, dopo esserselo conquistato nel corso dell’evoluzione cosmica, non può attualmente più perderlo. L’uomo, se comprende la missione del mondo, deve tendere innanzi tutto verso lo sforzo intenso di rendere l’io sempre più profondo, sempre più divino. Non dobbiamo avere nulla in comune con quel motto secondo cui vien sempre auspicato il riunirsi dell’io in un io generale, lo sciogliersi in un qualsiasi mare primordiale. La vera concezione (antroposofica) del mondo può solo porsi come meta finale la comunità degli io divenuti indipendenti e liberi, degli io divenuti individuali. Questa è appunto la missione della Terra che si esprime attraverso l’amore, che pone liberamente l’io di fronte all’altro io. Non è perfetto l’amore derivante dalla costrizione, dall’essere incatenati assieme. Soltanto ed unicamente quando ogni io è così libero ed indipendente da poter anche non amare, soltanto allora il suo amore è un dono del tutto libero. Il piano cosmico divino consiste, per così dire, nel rendere l’io talmente indipendente come essere individuale, da poter portare l’amore dalla libertà stessa verso Dio. Se gli uomini potessero venir comunque costretti, sia pure nella maniera più mediata ad amare, ciò significherebbe guidarli con i fili della dipendenza. In tutti i campi della vita l’io diverrà il pomo della discordia ed è quindi lecito dire che, da un lato, l’io può portare alla massima elevazione e dall’altro al più profondo abbrutimento. Perciò esso viene rappresentato come una spada affilata a due tagli.
(Rudolf Steiner, O.O.104 L’Apocalisse)