Nella vita di alcuni uomini vi sono momenti in cui sentono vacillare tutte le loro certezze, venir meno tutte le loro luci, tacere le voci delle passioni e degli affetti e di quanto altro anima e muove la loro esistenza. Ricondotto al proprio centro, l’individuo avverte allora a nudo il problema di ogni problema: chi sono io? Sorge allora, quasi sempre, anche l’evidenza che tutto ciò che si fa non solo nella vita ordinaria, ma altresì nella regione dei valori considerati superiori, in fondo serve solo per distrarsi, per crearsi la parvenza di uno scopo e di una ragione, per avere qualcosa che permetta di non pensare e di continuare a vivere. Utilità quotidiane, morali, fedi, filosofie, ebbrezze dei sensi e discipline appaiono create o cercate dagli uomini per velare a se stessi l’oscurità centrale, per sottrarsi all’angoscia della grande, fondamentale solitudine, per eludere il problema dell’Io. In alcuni casi una crisi del genere può avere un esito letale. In altri, si reagisce, ci si scuote. L’impulso di una forza animale che non vuole morire si riafferma, inibisce ciò che è balenato attraverso esperienze siffatte, fa credere che si tratti solo di un incubo, di un momento di febbre della mente e di squilibrio nervoso. E ci si va a creare qualche nuovo accomodamento, per tornare alla “realtà”. Vi è poi chi scarta. Il problema esistenziale che ha sentito, per lui impotente ad assumerlo per intero, diviene problema filosofico. E il gioco ricomincia. Una nuova verità, un nuovo sistema nasce, si finge luce nell’oscurità e va a fornire nuova esca alla volontà di continuare. Ovvero un’altra soluzione equivalente: il passivo rimettersi a strutture tradizionalistiche, a forme dogmatiche e stereotipe di autorità. Altri, però, tengono fermo. Qualcosa di nuovo e di irrevocabile si è determinato nella loro vita. Il circolo si è chiuso intorno a loro, intendono spezzarlo. Essi si staccano dalle fedi, dalle speranze. Vogliono dissipare la nebbia, aprirsi una via. Conoscenza di sé ed in sé dell’Essere – ciò essi cercano. Ed un tornare indietro per loro non c’è.”
(Julius Evola)