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Quando la settimana scorsa scrivevo la fermata #170 sull’arresto dei due co-fondatori di Samourai Wallet, non avrei immaginato di aver dovuto scrivere un seguito.

L’attualità lo impone, perché ciò a cui ci troviamo davanti è indubbiamente il più concreto attacco istituzionale che Bitcoin si sia mai trovato a dover affrontare dalla sua nascita.

Esperti e appassionati si aspettavano un momento simile da tempo: la crescente diffusione di Bitcoin non avrebbe potuto che minacciare la credibilità del monopolio monetario statunitense e, di conseguenza, sarebbe stato ingenuo pensare che i tentativi di attaccare i punti di accesso al protocollo scoperto da Satoshi Nakamoto sarebbero arrivati unicamente da dittature e autocrazie, come accaduto con i molteplici ban cinesi: prima o poi anche gli Stati Uniti sarebbero scesi in campo.

I tempi sembrano essere maturati. Dopo l’arresto dei due co-fondatori del wallet non-custodial Samourai, sono partite le indagini contro l’azienda Block del co-fondatore di Twitter Jack Dorsey, è stato arrestato in Spagna con richiesta di estradizione l’ex Bitcoin Jesus Roger Ver, le aziende Acinq e zkSNACKs hanno abbandonato il mercato USA con i rispettivi servizi Phoenix Wallet e Wasabi Wallet, e la seconda ha persino annunciato che terminerà l’attività di coordinamento dei CoinJoin interni a Wasabi.

In una settimana i due servizi di CoinJoin più user-friendly sul mercato si sono polverizzati per l’intervento del governo degli Stati Uniti, diretto nel caso di Samourai con l’arresto dei due co-fondatori e indiretto nel caso di Wasabi, con l’azienda che si è tirata indietro per evitare la stessa sorte dei primi.



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