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Avevamo finito di cenare. Davanti a me il mio amico, il banchiere, grande commerciante e monopolista ragguardevole, fumava un sigaro come chi non ha pensieri. La conversazione, che era andata spegnendosi, giaceva ormai morta tra di noi. Cercai di rianimarla, a caso, servendomi di un’idea che mi passò per la mente. Sorridendo, mi rivolsi a lui:

«Pensi: alcuni giorni fa mi hanno detto che lei un tempo è stato anarchico…».

«Non è che lo sono stato: lo sono stato e lo sono. Non sono cambiato a questo riguardo. Sono anarchico».

«Questa è buona! Lei anarchico. E in che cosa lei è anarchico?… A meno che non voglia attribuire alla parola un senso differente…».

«Dal comune? No, non glielo attribuisco. Uso la parola nel senso comune».

«Allora lei vuol dire che è anarchico esattamente nello stesso modo in cui è anarchica quella gente delle organizzazioni operaie! Che allora tra lei e quella gente delle bombe e dei sindacati non c’è nessuna differenza…».

«Differenza, differenza, c’è… È chiaro che c’è differenza. Ma non è quella che pensa lei. Ritiene forse che le mie teorie sociali siano uguali alle loro?…».

«Ah, ora capisco! Lei in teoria è anarchico, nella pratica…».

«Nella pratica sono tanto anarchico quanto lo sono nella teoria. E quanto alla pratica sono più anarchico, molto di più, di quella gente di cui lei ha parlato. Lo dimostra tutta la mia vita»… - Fernando Pessoa, 1922