Care amiche e cari amici, questa settimana affrontiamo un tema delicato, il rapporto tra politica e giustizia. Un tema che va discusso con serietà, senza frasi fatte o post ad effetto. La sinistra ha il dovere di parlarne, rifuggendo dalle strumentalizzazioni facili ed evitando di scivolare sul terreno del giustizialismo o del “populismo penale”. Non è semplice, lo so. E tanti di noi in questi ultimi trent’anni hanno sviluppato sensibilità diverse. Però dobbiamo farlo. Io penso che la strumentalizzazione politica delle vicende giudiziarie pone una grande questione democratica, perché porta con sé rischi di uno scivolamento verso strette autoritarie.
Vi invito a discutere e dialogare di questo tema, lasciando un commento.
Lo spunto per parlare di giustizia lo prendiamo da tre casi, diversi fra loro, che in queste settimane hanno fatto molto discutere: le assoluzioni di Bassolino e Mannino e la revoca del vitalizio a Ottaviano Del Turco nonostante le sue gravissime condizioni di salute (è notizia di oggi la sospensione di questa decisione da parte del Senato).
Un caso emblematico è quello di Antonio Bassolino, assolto per ben diciannove volte.
Provo a dirlo così. In questi ultimi venticinque anni sembra di essere passati da una situazione nella quale alla politica era riservata l’impunità, ad una situazione in cui si parte dal presupposto che chi fa politica quasi sempre commette reati.
Questo non solo non è giusto ma colpisce complessivamente il funzionamento della giustizia. Una giustizia che in Italia ha molto spesso tempi lunghissimi. Siamo infatti uno dei Paesi europei in cui i processi penali e civili durano di più.
Sono abbastanza anziano per ricordare che in passato, davanti a un’inchiesta che coinvolgeva un esponente politico, c’era sì un dibattito – anche molto duro – tra i partiti ma questo non faceva mai venir meno il rispetto per la persona. Oggi, invece, la politica tende a usare le vicende giudiziarie in base alla convenienza del momento. Questo genera un cortocircuito tra politica, magistratura e stampa che tritura tutto e tutti, attivando un meccanismo distorto che troppo spesso finisce per gettare discredito sulle nostre istituzioni. Oltre ad annullare intere biografie umane e politiche.
La questione del rapporto tra politica e giustizia non riguarda solo il nostro Paese. Bobo Craxi, ospite oggi della nostra trasmissione su Controradio, ha ricordato che:
“L’uso politico della giustizia si è catapultato nell’Occidente negli ultimi trent’anni. Non è un problema che riguarda solo l’Italia ma interessa tutte le società democratiche. Basta vedere cos’è accaduto in Francia, in Germania o in Spagna. […] Ed è un fenomeno che riguarda trasversalmente tutte le forze democratiche, tutti i partiti. L’aggravante, in Italia, è che molti magistrati scendono nell’agone della politica. […] Nel nostro paese c’è una tendenza della magistratura ad entrare direttamente nei gangli vitali del potere politico, confondendo il proprio ruolo”.
Intendiamoci, la magistratura risponde a un bisogno fondamentale, anzi a un diritto fondamentale che è quello alla giustizia. Ma guai a cadere nel “populismo penale”, a costruire il consenso aizzando alla vendetta o individuando capri espiatori.
Vi consiglio di leggere il discorso di Papa Francesco del 23 ottobre 2014 alla delegazione dell’associazione internazionale di diritto penale. Questo è il passaggio sul “populismo penale”:
Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale.
Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la loro vita per tutti i mali sociali, come era tipico nelle società primitive, ma oltre a ciò talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in sé stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste.
Il “populismo penale” individua la vittima, il capro espiatorio. Ma spesso rischia di cadere esso stesso nel procedimento penale. Questo produce un continuo screditamento della democrazia.
In questi giorni ho riletto alcune cose scritte da Giovanni Falcone. Senza strumentalizzare le parole del grande magistrato, vi propongo qui tre concetti che mi sembrano di grandissima attualità:
L’informazione di garanzia non è una coltellata che si può infliggere così, è qualcosa che deve essere utilizzata nell’interesse dell’indiziato.
È profondamente immorale che si possano avviare delle imputazioni e contestare delle cose nella assoluta aleatorietà del risultato giudiziario.
La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità: la cultura del sospetto è l’anticamera del khomeinismo.
A queste parole di Papa Francesco e di Giovanni Falcone, aggiungo solo una breve considerazione. Quando si discute di un’inchiesta o di un procedimento in corso, un conto è il giudizio politico, altro è il giudizio che spetta solo ai tribunali.
Chiudo questa newsletter con un passaggio del ragionamento di Bobo Craxi a proposito degli ultimi trent’anni (trovate comunque tutto nel podcast):
“Il desiderio di giustizia non deve mai scontrarsi né con l’impunità né con l'atteggiamento persecutorio, vessatorio e pregiudiziale. Il giusto mezzo, nel caso della giustizia combinata con la politica, è sempre molto difficile da ottenere. L'importante è che si faccia strada l'idea che qualcosa cosa va cambiato perché negli anni ‘90 ci fu una cosiddetta emergenza, quella dell’inchiesta Mani pulite, ma a quell’emergenza non sono seguite né dei ripari nel sistema politico né tantomeno in quello giudiziario. Furono commessi in entrambi i campi degli errori o degli orrori e nessuno dei due campi ha corretto quelle deviazioni, quelle storture e quelle mancanze”.
Buona serata,Enrico
P.S.
Una crisi di governo in pieno Covid, con il piano per il rilancio da predisporre, e in queste condizioni politiche sarebbe una sciagura per il Paese.Anche in Italia, come esiste in altri Paesi, ci vorrebbe la sfiducia costruttiva che costringesse chi vuole sfiduciare il governo a indicare per ottenere la fiducia una soluzione nuova. Altrimenti il governo resta in carica comunque.Nel merito non è più tempo di rinvii. Su questo Renzi ha ragione.Nel metodo ha torto, trasformando quello che dovrebbe essere un confronto approfondito in un gioco ad uso e consumo di tv e giornali che ormai ha stancato tutti.I problemi si risolvono con incontri seri, che durano il tempo necessario e che consentono di trovare intese e collaborare.Se non c’è l’intesa, la sede dove discutere è il parlamento con la mozione di sfiducia.Se esistesse la sfiducia costruttiva sarebbe interessante vedere cosa verrebbe proposto al posto della maggioranza e del governo presieduto da Conte.Io - lo dico sinceramente - non posso credere alle voci che parlano di intese possibili tra i due Matteo.Ma mi preoccupa che la destra stia rialzando la testa e che il leader della Lega insista per un ritorno al governo del suo partito.