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Care amiche e cari amici,innanzi tutto vi ringrazio per aver partecipato al questionario sulla newsletter. Sono arrivate centinaia di risposte e sono emerse indicazioni importanti per migliorare il lavoro fin qui fatto. Da parte vostra arriva la richiesta di fornire materiali di studio e di approfondimento, articoli monotematici e prodotti multimediali. Per quanto riguarda le questioni da affrontare, mi chiedete di approfondire i temi del lavoro e di Next Generation EU, dell’ambiente e del Green new deal, della sanità e del sociale, della sinistra e del socialismo. Farò tesoro di tutte queste indicazioni e cercherò di migliorare il più possibile questo strumento. Ancora una volta, grazie.

Sulle disuguaglianze tra donne e uomini

Questa mattina a Controradio abbiamo discusso con Susanna Camusso delle disuguaglianze tra donne e uomini, di gender pay gap, di smartworking e dell’impatto della pandemia sull’occupazione femminile. Ovviamente abbiamo parlato anche delle scelte che hanno portato alla composizione del governo, sempre mantenendo lo sguardo in questa ottica. Susanna, che è stata per tanti anni alla guida del più rappresentativo sindacato italiano, oggi è la responsabile delle Politiche di genere della CGIL (sopra trovate il podcast della trasmissione). Durante la discussione sono arrivati tanti messaggi, uno in particolare mi ha colpito perché ci restituisce una fotografia di quello che è accaduto e sta accadendo a proposito dello smartworking.

Sono in telelavoro da mesi. Ho dovuto comprare un monitor aggiuntivo, una sedia ergonomica perchè ogni sera avevo la schiena a pezzi, ho perso i ticket pasto. La bolletta del gas è cresciuta a dismisura. Oltre a tutto il lavoro in più, alla solitudine, all’alienazione.

La disuguaglianza tra donne e uomini, accresciuta durante questi mesi di pandemia, è una delle grandi questioni aperte nel nostro Paese che va affrontata subito. E mi ha rammaricato molto l’errore compiuto dal Partito Democratico, la cui squadra nel nuovo governo è tutta al maschile. È un errore a cui tutto il partito dovrà rimediare. Ma a me sembra che sul punto anche lo stesso presidente Draghi abbia finora dato risposte non proprio sufficienti. Non mi riferisco solo alla ridotta presenza femminile nella compagine del nuovo esecutivo, che appare su questo piano poco “europeo”. Ieri nel suo discorso in Senato, riguardo al superamento delle differenze di genere, ha usato una parola che mi piace poco: “competere”. Avrei preferito sentirne un’altra: “uguaglianza”. Perché come dice Susanna Camusso: “La competizione si fa tra uguali, e uguali non siamo”.

Qualche dato per riflettere:

* La crisi colpisce sempre più duramente le donne. Secondo l’ISTAT a dicembre 2020 gli occupati sono diminuiti, rispetto al mese precedente, di 101.000 unità. 99 mila sono donne, solo duemila gli uomini. Sui dodici mesi il saldo negativo è di 444.000 unità, di cui 312 mila donne.

* L’Italia è ultima nella Ue per il divario tra donne e uomini nel lavoro. Nel 2019 il tasso di occupazione femminile era distante 17,9 punti da quello maschile. Quasi il 40% delle occupate si concentrano in tre settori: commercio, sanità e assistenza sociale, scuola. Il reddito medio delle donne è circa il 59,5% di quello degli uomini.

* La crisi economica innescata dalla pandemia ha un impatto specifico sulle donne, tanto che si parla di she-cession, una recessione al femminile. “Le donne – scrive Roberta Carlini - sono sovrarappresentate su tutti i fronti: il primo, quello dei lavori maggiormente esposti al contagio, data la prevalenza femminile nel settore sanitario, in particolare quello infermieristico e di cura, nelle case di riposo come nelle case private. Il secondo, quello delle persone che hanno perso il lavoro a causa della crisi. E il terzo, quello del lavoro in casa: sia nella forma del lavoro a distanza, che nell’aumento dei carichi del lavoro non retribuito dovuto alla chiusura di servizi essenziali o dalla loro trasformazione, ancora una volta, a distanza, a partire dalla scuola”.

Potremmo andare avanti a lungo, ma già questi dati sono sufficienti per dire che la questione non può essere nuovamente rinviata e deve essere posta al centro dell’azione politica della sinistra e del Partito Democratico.

Tornando al discorso di Draghi al Senato, mi sento di condividere pienamente quanto ha detto questa mattina Susanna Camusso a proposito delle parole usate dal presidente del Consiglio:

«Io credo sia stato davvero un errore metterla su un piano di competizione. Anche perché la competizione si può fare tra uguali ma uguali non siamo. Non a caso tutte le forme di gap, a partire da quella salariale ma anche a quella del tasso di occupazione o del carico di lavoro di cura, sono tutte figlie di un non riconoscimento della differenza e di una discriminazione che è in essere. Considerare la diseguaglianza di genere come una pura questione che si dissolve mettendo tutti nelle condizioni di fare una corsa a ostacoli insieme, è un modo per non aver letto il problema. Peraltro lo si vede da come si è fatto il governo. Non c’è dubbio che il Partito Democratico ha sbagliato, a non aver considerato che non affrontava il tema e non offriva una soluzione, ma è l’insieme del governo che corrisponde a una grande diseguaglianza di genere e in questo c’è una responsabilità del Presidente del consiglio e anche del Presidente della Repubblica, visto che è loro prerogativa quella della lista dei ministri».

Ancora Camusso:

«C’è ancora un’idea che la nostra funzione primaria, la funzione primaria delle donne dovrebbe essere quella della casa e del focolare e poi se proprio vogliamo entrare nel mercato del lavoro, dobbiamo farlo in una logica di pura competizione. Lo dimostra il fatto che il Ministero delle Pari opportunità è anche il Ministero della famiglia. Le due cose non hanno nulla a che fare. Sono però il sintomo di un pensiero molto diffuso nel nostro Paese, quello che chiamiamo giustamente un pensiero patriarcale che presuppone che ci sia un primato in sé maschile e una seconda linea che può essere costituita dalle donne».

Infine, su maternità e allarme demografico:

«Bisogna contrastare una logica che sta crescendo sempre di più e cioè che la maternità sia un fatto privato e non una responsabilità sociale. Siamo uno strano Paese, in cui giustamente c’è un allarme demografico. Dopodiché non ci si rende conto che quell’allarme continuerà ad esserci se non ci saranno le condizioni per affrontare la maternità in una condizione di sicurezza».

Forse andrebbe ripreso un antico slogan delle giovani del movimento delle donne che dicevano: “La precarietà è contraccezione”.

Mi permetto di aggiungere poche cose al discorso di Susanna.

Sarebbe il caso di riprendere una proposta che ho sempre ritenuto importantissima: considerare l’asilo nido il primo anello della catena educativa e quindi come il primo anello gratuito di accesso al sistema dell’educazione.

Questo sarebbe un messaggio forte lanciato verso i giovani, verso le famiglie che vivono condizioni lavorative precarie, verso le donne che aspirano a mettere al mondo un figlio e che in queste condizioni non ci riescono perché devono scegliere tra la famiglia e il lavoro. Non è un obiettivo impossibile, anzi. Questa sarebbe una rivoluzione importante anche nel senso della questione demografica che affligge il nostro Paese. Ci sono ragazze e ragazzi che si sacrificano per poter mandare il figlio all’asilo nido e spendono un terzo del loro reddito familiare per poter avere la possibilità di continuare a fare un lavoro, magari precario. Io penso che questo tema deve essere posto con forza dalla sinistra. Anche per recuperare una condizione europea che vede l’Italia ultima per quanto riguarda la partecipazione delle donne al mondo del lavoro.

Chiudo la newsletter con un libro che mi ha colpito e che vi consiglio. Si tratta di “Dovremmo essere tutti femministi” (Einaudi, 2021) di Chimamanda Ngozi Adichie. In libreria o in biblioteca trovate anche l’edizione del 2015.

«Io vorrei che tutti cominciassimo a sognare e progettare un mondo diverso. Un mondo piú giusto. Un mondo di uomini e donne piú felici e piú fedeli a se stessi. Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegniamo ai nostri figli»

Se non potete leggerlo, vi invito ad ascoltare questo bellissimo discorso pubblico fatto proprio da Chimamanda Ngozi Adichie nel 2012 e tratto dall’archivio delle TED Conference (sottotitolato in italiano).

Per oggi è tutto. Come sempre vi invito a lasciare un commento.

Un caro saluto,Enrico



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