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Care amiche e cari amici,sono ore di grande attesa per capire che sbocco avrà questa crisi e soprattutto quale sarà il programma che Mario Draghi proporrà al Parlamento. Quello che è evidente a tutti è che la politica, con la caduta del governo Conte, ha fatto un pesante passo indietro. Anzi, è stata azzerata. Ed è ora costretta ad affidarsi all’abilità e all’autorevolezza che Draghi in questi anni ha dimostrato di avere, anche e soprattutto sul piano internazionale. Un tecnico che farà scelte politiche. Ma anche una persona che proviene da quella grande scuola che è Banca d’Italia e che in altri momenti di difficoltà ha fornito delle soluzioni al Paese. Penso in particolare a quella figura altissima che fu Carlo Azeglio Ciampi.

Per ora Draghi si sta muovendo con grande accortezza e sentiremo quali saranno i suoi punti programmatici. Al momento possiamo riascoltare il discorso che fece al Meeting di Comunione e Liberazione, in cui si possono trovare delle cose indubbiamente interessanti (cita Keynes, riconosce un ruolo ai sussidi ma dice che non bastano, parla di debito “buono”). Un discorso su cui la politica può dialogare e confrontarsi. Quello che manca è il discorso che la sinistra dovrà fare nei prossimi mesi. Parlo di strategie di eguaglianza, tutela del lavoro, difesa dei ceti più deboli.

Un nuovo protagonismo delle forze sociali

Per prima cosa vorrei sottolineare un fatto che non mi pare sia stato particolarmente valorizzato dalla stampa, ovvero sia il confronto che Draghi ha avuto ieri con le parti sociali, associazioni ambientaliste comprese.

Si tratta di un’importante novità perché è grazie a questo confronto che molti temi reali sono venuti a galla e hanno ritrovato la centralità che meritano nel dibattito pubblico. Parliamo di politiche industriali, riforma degli ammortizzatori sociali, accesso al credito, politiche ambientali, lotta all’evasione, ruolo del terzo settore. Perfino il tema della cittadinanza ai nuovi italiani, come ha giustamente ricordato il segretario generale della CGIL Maurizio Landini.

Questa è la dimostrazione che il dialogo con la società è fondamentale per chi ha l’ambizione di governare il Paese. Lo dico perché bisogna uscire dalla presunzione che la politica possa conoscere tutta la realtà. Certo, non sto dicendo che le parti sociali non abbiamo difetti o che a volte non siano eccessivamente corporative o burocratiche (la politica forse non ha gli stessi problemi?), ma è indubbio che abbiano un contatto con la realtà, che sappiano quali sono i problemi. Gli allarmi che sono stati lanciati ieri devono essere ascoltati e solo parlando con i sindacati, le categorie e le associazioni si possono trovare soluzioni migliori. Per uscire dalla crisi serve quindi un patto sociale, largo e inclusivo.

Qui trovate le dichiarazioni che i segretari di CGIL, CISL e UIL hanno rilasciato al termine del confronto con il presidente del Consiglio incaricato, mentre qui gli interventi di Wwf, Legambiente e Greenpeace.

L’emergenza lavoro

Come scrivevo, uno dei grandi temi è quello del lavoro. Attualmente in Italia ci sono oltre 2 milioni e mezzo di disoccupati. Nei prossimi mesi altre 800 mila persone (secondo alcune stime anche un milione) potrebbero perdere il posto di lavoro. Un nodo che il nuovo governo dovrà sciogliere è quello relativo agli ammortizzatori sociali. Saranno sufficienti o invece sarà necessario – come io credo – che lo Stato diventi creatore di lavoro di prima istanza? Mi spiego meglio: non dico che lo Stato deve assumere un milione di persone – conosco bene le solite critiche di alcuni ultraliberisti! – ma che è urgente pensare a grandi piani per l’occupazione in settori come la difesa del territorio, la cultura, il sociale. Insomma, garantire sì protezione sociale ai disoccupati senza dimenticare che occorrono piani e politiche per garantire la mobilità dei lavoratori da un posto di lavoro all’altro. Aggiungo solo che un altro tema centrale, sollevato con forza dall’ABI, riguarda le misure a protezione del tessuto produttivo italiano e a difesa delle aziende e dell’accesso al credito. Su questi nodi al momento non abbiamo ancora delle risposte e dovremo ascoltare cosa dirà Draghi.

Sulla Lega e Salvini

È chiaro a tutti che la Lega ha fatto una svolta repentina. Fino a ieri era contraria al Piano per la ripresa dell’Europa (Recovery Fund), mentre ora accetta tutto a cominciare dall’europeismo e dalla tassazione progressiva. Mi viene da fare una battuta: accetterà anche il tema dei diritti umani e dello ius soli pur di entrare nel governo! Battute a parte, è indubbio che dentro la Lega ci sia una spinta degli industriali e delle imprese del nord – più che legittima, figuriamoci – a partecipare direttamente alla gestione di una quantità di risorse davvero straordinaria. Detto questo, è evidente che preferirei che la Lega rimanesse fuori dall’esecutivo. Ma questa non è la richiesta del Capo dello Stato.

Avverto pertanto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica.

Sergio Mattarella

Ora la politica usi questo tempo per rifondarsi. E spero che il PD e la sinistra non debbano pagare un prezzo troppo alto per la partecipazione a un governo di questo tipo. Quanto i nostri elettori potranno digerire che i loro voti vengano mescolati a quelli della Lega? Soprattutto ora che Salvini era giunto al capolinea ed era stato sconfitto nella battaglia europea che ha visto la formazione, anche con il voto favorevole del Movimento 5 Stelle, della commissione guidata da Ursula von der Leyen. Una commissione che ha escluso e messo ai margini la peggiore destra europea, nazionalista e sovranista.

E allora il PD?

A dispetto di quanti dipingono il Partito Democratico e la sinistra come i grandi sconfitti di questa fase, voglio solo ricordare che è grazie al PD e a Nicola Zingaretti che la riforma fiscale e la lotta all’evasione saranno punti centrali nel programma del nuovo governo. Si tratta di temi fondamentali di giustizia sociale. Su questo le intenzioni generali di Draghi sono positive, anche se al momento non ci sono contenuti espliciti sulla redistribuzione della ricchezza. Staremo a vedere quale sarà il “segno sociale” del futuro esecutivo.

In molti mi chiedono cosa dovrà fare il PD. Per me la risposta è semplice, dovrà avere la forza di rappresentare i ceti più deboli, la classe media, le partite iva, i disoccupati, i giovani, i pensionati. Se ci riuscirà – e non farà come fece Renzi quando spostò il PD dalla parte dei potenti – allora potremo tornare ad essere una forza popolare e vicina alle persone.

In ogni caso, tramontato il discorso sulla “vocazione maggioritaria”, il Partito Democratico non dovrà isolarsi. Non dimentichiamoci cosa accadde nel 2018 quando la sinistra registrò il peggior risultato di sempre. Erano i tempi in cui l’allora segretario diceva che i sindacati erano un ostacolo.

Ora dobbiamo avere politiche unitarie e dialogare con il Movimento 5 Stelle, anche se a volte può non piacere (a Rousseau preferisco Marx). Ma sarebbe sbagliato non riconoscere che i cinquestelle hanno espresso una pulsione, una domanda popolare di cambiamento. Penso al reddito di cittadinanza che, al netto di tutte le storture, ha rappresentato nei fatti l’introduzione in Italia di quello che in altre parti d’Europa esiste e si chiama reddito di base. Spero che il governo Draghi lo mantenga e lo riformi.

Insomma, come ultimo auspicio spero che il PD riscopra la sua identità in senso sociale. O, meglio, socialista.

Buona serata,Enrico

Due giorni fa, il 9 febbraio, è morto Franco Marini, un sindacalista tenace, protagonista di tante lotte operaie. Ma anche un politico di razza, forte e coraggioso. La sua voce mancherà molto al Partito Democratico e a tutta la comunità del centro sinistra. Ho sempre avuto l'impressione che la bocciatura della sua elezione al Quirinale avesse un significato per me inaccettabile, quello di impedire che un sindacalista rappresentante degli operai e dei lavoratori potesse ricoprire la più alta carica dello Stato.



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