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Care amiche e cari amici,in queste ore nel linguaggio della destra (e non solo) ricorre spesso la parola “libertà” usata in contrapposizione alle misure prese per contrastare la pandemia.

Fratelli d’Italia e Lega, pure in competizione tra loro, si configurano come una destra estrema che parla strumentalmente di “libertà”, “fiducia negli italiani” e quindi “abolizione del coprifuoco”, cavalcando un’onda reale nel Paese e contestando irresponsabilmente le restrizioni e le limitazioni imposte.

Non sono gli unici a farlo, anche altri partiti ed esponenti politici – seppur con un linguaggio diverso – cercano uno spazio elettorale su questo terreno. Anche a sinistra è indicativa la posizione di Bonaccini che, similmente a Italia Viva, è sinceramente convinto che per battere Salvini sia preferibile una cura omeopatica, una politica su molte cose non troppo diversa da quella del leader della Lega, anche se ripulita nel linguaggio e nei modi. Nel PD si dovrà discutere su queste posizioni. Meglio farlo prima che rinviare ancora una volta.

Voi vi chiederete: che c’entra con il 25 aprile tutto questo? Beh, c’entra. Almeno in relazione al significato che vogliamo attribuire alla parola libertà. Questa mattina mi ha fatto riflettere quanto detto da David Bidussa, storico e saggista, nella trasmissione che conduco con Raffaele Palumbo su Controradio (sopra trovate il podcast):

Oggi la destra dice “io voglio aprire, io apro”. Ma il futuro che ci aspetta non è “io faccio i fatti miei” e “faccio quello che voglio fare”. Il futuro che ci aspetta è l’agenda 2030, è avere uno sviluppo economico sostenibile. Vuol dire che tu devi venire a patti, condividere e saper rinunciare in nome di un processo di sviluppo collettivo, emancipatorio, egualitario e non esclusivo. Quello è un pezzo di ragionamento che la destra non può assumersi, perché nella destra non c’è l’idea “io ci rinuncio”. Quello è un punto su cui secondo me oggi un pezzo della cultura della sinistra, se vuol ragionare in termini di futuro e non di passato, deve aggiornare il suo vocabolario storico.

Ma veniamo al 76° anniversario della Liberazione. Un altro aspetto importante sottolineato da Bidussa, riguarda il fascismo. O meglio, il nazionalismo. Anche io credo che la destra neofascista e sovranista ha egemonizzato la subcultura italiana legata al vecchio nazionalismo:

Chi oggi ragiona dicendo “non c’è nessun pericolo di fascismo” fa una discussione di tipo nominalistico. Dobbiamo andare direttamente al cuore del problema: se in Italia c’è un fascino per il sovranismo, c’è perché la cultura di sottofondo su cui siamo cresciuti non è il fascismo ideologico ma il nazionalismo. […] Dentro al codice nazionalista c’è un elemento fondamentale che anche oggi è fortissimo nel costrutto culturale medio del cittadino italiano ed è fatto di tre elementi: 1) vittimismo (non sei mai responsabile delle scelte che fai), 2) idea complottistica della storia (pensi costantemente che c’è qualcuno fuori che complotta contro di te), 3) meglio soli (te ce la faresti benissimo da solo). Se prendo queste tre categorie e le vado a vedere dentro la struttura culturale, politica dell’Italia del Novecento, queste strutture stanno pienamente dentro l’ideologia nazionalista, con cui noi non abbiamo mai fatto i conti.

Non ripeto qui quanto ho detto stamani: vi invito ad ascoltare il podcast, a condividerlo e a commentarlo. Ci sarà comunque ancora occasione per discuterne. Vi anticipo che “Letture”, la rassegna stampa domenicale, sarà interamente dedicata a questo tema.

Buona serata, buon ascolto e buon 25 aprile!

Enrico



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