Due sabati fa abbiamo aperto la stagione di questa newsletter con una riflessione sullo stato di salute della narrativa americana contemporanea. Non si risolveva in nulla di promettente.
Non era la prima volta che affrontavo un tema del genere, né qui né dal vivo, dove mi espongo spesso su quello che ritengo sia un momento critico della capacità di scrittori e scrittrici americane di fare arte, di creare storie che abbiano una certa valenza espressiva, letteraria e formale. Nell’ultima newsletter del 2024 (quella in cui offrivo un esempio in controtendenza, se ti ricordi) scrivevo:
in generale, le nuove generazioni di scrittori e scrittrici sembrano aver abbandonato la letteratura a favore della lettura: stile piano, sperimentazione assente, linearità ad ogni livello (lessicale, sintattico, temporale, metaletterario), trama seguibile, messaggio esplicito, periodi brevi, intrecci e linguaggi non particolarmente lavorati. A volte varia la lunghezza o si lavora in qualche modo sui punti di vista dei personaggi, ma l’esperienza generale di queste letture risulta, per chi la fa, gradevole quando va bene, a volte banale, il più delle volte ripetitiva. Sembra di leggere sempre la stessa storia.
Se non ci fosse un contenuto distintivo (dunque niente che riguardi la forma) a sostegno di queste letture - la trama, banalmente, o la rilevanza del messaggio politico - non le ricorderemmo nemmeno: nel profondo smuovono poco o niente.
In questo insieme di libri finiscono romanzi anche molto acclamati come A quattro zampe di Miranda July o, per rimanere tra le letture del mio bookclub LIT, Mani nella terra di Lee Cole e L’inganno delle buone azioni di Kiley Reid.
(Se ti vengono in mente degli esempi, condividili nei commenti, mi piace quando queste riflessioni si allargano.)
Oggi approfondisco e complico un po’ questo discorso con un altro, monumentale, esempio: il secondo romanzo di Stephen Markley, Diluvio, già autore del famoso e molto apprezzato Ohio.
L’opera di 1300 pagine comprende un lungo periodo storico che va dal 2013 al 2040, l’autore ha cominciato a scriverla nel 2010 e, dopo dodici anni, nel 2022 è stata pubblicata negli Stati Uniti. In Italia è arrivata l’anno scorso, nel 2024. Tutti questi numeri hanno importanza, come puoi immaginare, soprattutto per un motivo: la verosimiglianza storica. Markley, sulla base di quello che il suo Paese aveva “sul tavolo” negli anni dal 2010 al 2022, ha infatti costruito un futuro possibile, finendo per andare molto, molto vicino a ciò che potrebbe accadere davvero o sta già accadendo. Se ci sono due prime conclusioni, infatti, che si possono trarre subito dopo una prima osservazione del libro sono, a mio parere, queste:
* nessun editore si sobbarcherebbe la fatica di pubblicare un libro di 1300 pagine (difficile, quindi, da vendere a un grande pubblico) se non pensasse di avere tra le mani un’opera significativa e accattivante;
* Diluvio lo è - significativo e accattivante - nei termini in cui sembra di aprire i giornali dei prossimi quindici anni, se non proprio del presente. Un’esperienza piuttosto cupa.
Cosa accade, dunque, in queste 1300 pagine? La crisi climatica è arrivata a esprimersi a livelli che sfuggono completamente al controllo umano: incendi, inondazioni, innalzamento del livello dei mari, caldo e piogge fanno centinaia di migliaia di vittime. Molte di queste soltanto negli Stati Uniti dove, a questo scenario apocalittico che si reitera negli anni sempre un po’ peggio, si aggiunge quello politico, caratterizzato da autoritarismi altrettanto fuori controllo, odio sociale, repressione delle rivolte nel sangue, ecoterrorismo e sete di potere delle aziende energetiche. Niente di così lontano, appunto, da ciò che già stiamo vivendo. Non mancano, naturalmente, realtà virtuale e intelligenza artificiale (nonostante sia la prima a prevalere per importanza sulla seconda, una scelta che forse oggi Markley non farebbe).
A portare avanti la trama ci pensa un folto sistema di personaggi a cui l’autore affida, a ognuno, uno stile particolare del parlato, un punto di vista che varia dal racconto in prima persona alla stesura di un report scientifico, e uno sviluppo esistenziale che non è sempre lineare ma non manca mai di un certo respiro temporale e psicologico. C’è Kate, una donna eccentrica a capo del più importante movimento ambientalista del tempo; c’è Tony, lo scienziato; c’è Ash, il sistemista; c’è Shane, l’ecoterrorista che non lascia tracce; c’è Keeper, un tossico che combatte tutta la vita con la povertà e il tentativo di avere delle ambizioni; c’è il Pastore, un ex attore di Hollywood che arringa le folle ed è pronto a prendere il potere in modo sanguinario e dittatoriale.
Ci sono tantissime persone e tantissimi eventi ma c’è anche qualcosa che, proprio per questo motivo, già dai primi capitoli si fa rincorrere fino a mancare in modo assordante: la scrittura. A fronte di un intreccio complesso e sfaccettato, reso molto articolato dalle relazioni tra i personaggi, dai salti temporali e dall’abbondanza di descrizioni o digressioni scientifiche/economiche/politiche, lo stile di Markley risulta debole o, meglio, risulta noioso, al minimo grado di personalizzazione e al massimo grado di conformismo. Piatto, guarda caso. A risentirne sono in primis la rotondità dei personaggi (non tutti ma quelli femminili soprattutto), la tenuta della tensione narrativa tra un grande evento e l’altro, l’affaccio della coscienza di chi legge su mondi emotivi universali, profondi, che lavorano dentro anche se magari non sono immediatamente riconoscibili nel testo. Le cose che, in altre parole, fanno altri romanzi monumentali e altrettanto ambiziosi come Guerra e pace, per dire, o Underworld e Infinite Jest, opere che probabilmente costituivano anche un certo orizzonte letterario dell’autore.
Se non fosse per il contenuto, che tiene agganciati lettori e lettrici per la sua gravità e somiglianza con ciò che potrebbe accaderci domani, la forma di questo romanzo non trainerebbe né la lettura né il ricordo di questa lettura.
A volte mi chiedo se gli scrittori e le scrittrici americane nelle scuole di scrittura che frequentano (Markley arriva dall’Iowa Writers Workshop, la più rinomata del Paese) discutano di qualcosa che non sia la stretta attualità, elemento imprescindibile per qualsiasi narratore ma anche una falsa amica. Cosa che invece non sarebbero le figure retoriche, ad esempio, pressoché assenti nella narrativa di oggi. O la pura, libera e ardita sperimentazione letteraria. Pratiche più difficili, senz’altro, ma decisamente più coraggiose.
Diluvio finisce così per diventare, a mio avviso, la prima vittima della paura che racconta.
Da non perdere
Lo scorso weekend c’è stata una riunione dal vivo del bookclub LIT (delle persone che sono riuscite a venire, eravamo una quarantina, circa un quarto del totale) ed è stata bellissima. Negli ultimi tempi ho letto molti articoli che evidenziano come i gruppi di lettura o le squadre sportive o i circoli aggregativi in generale aiutino a mettere in atto qualcosa che nel resto della società - soprattutto quella virtuale - si sta erodendo completamente e molto pericolosamente: la capacità di affrontare, gestire e rispettare il disaccordo. Ecco, devo dire che noi abbiamo sperimentato molto bene questa sensazione e ha avuto un effetto balsamico! Discutendo proprio di Diluvio, abbiamo avuto modo di ascoltare opinioni molto discordanti tra loro, renderci disponibili a cambiare idea (una cosa che sembra quasi vergognosa in altri ambienti) e poi andare a mangiare tutti e tutte insieme allo stesso tavolo ridendo e divertendoci molto.
È stata una boccata d’ossigeno. È stato ricordarci che un’alternativa all’odio che si respira sui social e altrove non solo esiste, ma è persino a portata di mano.
Tornando invece alla polarizzazione della nostra società e soprattutto di quella statunitense, la puntata di settembre del podcast Miglia racconta una parte dell’attivismo di destra MAGA, quella Black (l’episodio è stato scritto e registrato poco prima che Charlie Kirk venisse ucciso, si è involontariamente creato un parallelo interessante).
La prossima tappa di Miglia arriverà dal New Mexico, dove mi trovo ora e dove si sperimenta un tipo di America davvero inconsueto.
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Grazie per avermi seguita fin qui, ci sentiamo il prossimo sabato per l’abituale numero mensile del Monthly e poi il sabato successivo con un contenuto molto speciale, proveniente da Israele. Ciao!
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