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Nell’ ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria, il Fondo Monetario Internazionale ha rilevato che "i rischi per una correzione nei valori immobiliari sembrano essere significativi" e che, se questa prospettiva dovessero materializzarsi, nelle economie più avanzate si potrebbe osservare un calo fino al 14%. L’indice composito sui valori immobiliari elaborato dai ricercatori del Fondo, espresso in termini reali, si trova oggi molto al di sopra del picco raggiunto prima della crisi finanziaria del 2007-09. Un articolo recente de L’Economist ha rilevato come la capitalizzazione di borsa delle imprese di costruzioni americane sia salta nell’ultimo anno del 44%, a fronte di una crescita del 27% del mercato azionario globale. Considerando le attese sulla fine degli stimoli fiscali e sul plausibile rialzo dei tassi d’interesse potremmo essere vicini alla fine del boom. Non è tuttavia così semplice formulare una valutazione sull’esistenza di una bolla immobiliare a livello globale e men che meno prevedere quando questa potrebbe scoppiare. Un working paper a cura Gabriel Chodorow-Reich dell'Università di Harvard e colleghi [trovate il link nelle note del podcast] sostiene che la crescita dei valori immobiliari potrebbe in realtà essere il prodotto di cambiamenti economici strutturali. I tre fattori determinanti menzionati nell’articolo sono le accresciute disponibilità finanziarie delle famiglie acquirenti, la loro volontà di destinarne quote maggiori all’acquisto di immobili e alcuni vincoli sul lato dell’offerta.Mentre all’epoca della bolla sui muti subprime negli Stati Uniti il mercato era trainato da debitori con scarso merito di credito oggi assistiamo ad un fenomeno opposto. Inoltre, in termini di sensibilità ai possibili rialzi attesi dei tassi osserviamo che gli interessi sui mutui in questo paese attualmente assorbono il 3,7% del reddito disponibile, un livello tra i più bassi della storia. Per quanto riguarda l’Europa, prima della pandemia sono state introdotte regole più restrittive per l’accesso al credito (solo in arte temporaneamente allentate per via dell’emergenza sanitaria). In Germania e Regno Unito una maggiore resistenza nei confronti di possibili restrizioni monetarie deriva dalla preferenza registrata negli ultimi anni per i prodotti a tasso fisso.La crescita del lavoro da remoto e, in parte, la minore circolazione delle persone a causa delle restrizioni legate alla pandemia è un altro elemento che può contribuire a tenere alti i valori immobiliari. Produce infatti una maggiore domanda di spazi per lavorare a casa o in generale per aumentare il confort durante il maggior tempo trascorso a casa e la riduzione nei consumi legati agli spostamenti e ai viaggi contribuisce all’accumulo di maggiori disponibilità finanziarie. Il terzo fattore che influenza i prezzi degli immobili riguarda l’offerta di alloggi: secondo un’analisi elaborata da The Economist negli anni prima della pandemia, nei paesi sviluppati la costruzione di nuovi immobili, se rapportata alla popolazione era scesa alla metà del suo livello della metà degli anni '60. Dunque, una offerta più rigida immobili comporta che le pressioni derivanti della domanda si ripercuotano sui prezzi. Un contributo significativo al processo già corso è venuto dalle restrizioni e dai colli di bottiglia legati all’emergenza sanitaria. I costruttori sono alle prese con costi più alti e ritardi per le materie prime come il cemento, il rame, il legname e l'acciaio, e la scarsità di operai sta spingendo i salari più alti. Osservando i profitti e i margini di molti costruttori si può evincere che siano riusciti a traslare sugli acquirenti questi costi: DR Horton, il più grande sviluppatore immobiliare degli Stati Uniti, ha dichiarato una crescita nel prezzo medio delle abitazioni del 14% nel 2021, facendo lievitare del 78% dei guadagni per azione. Nel maggio 2021 i ricercatori di Freddie Mac, l’ente che sovvenziona una quota rilevane dei mutui...
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