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Oggi voglio condividere con voi il mio processo di scrittura.
Come sapete, scrivo saghe. Pentalogie. Cinque volumi, ognuno dei quali rappresenta un atto della mia grande storia.
Questo richiede un profondo ed elaborato lavoro di strutturazione: atto per atto, capitolo per capitolo, scena per scena.

Oggi però voglio mostrarvi il processo che porta dalla bozza «vomito» di una scena alla prima stesura.
Quindi la pagina scritta seguendo le indicazioni della scena.

Una specie di «Prima e Dopo», come nelle pubblicità dei prodotti dimagranti.
Ho scelto, per l’occasione, una scena descrittiva. Esse sono, per quanto mi riguarda, le più difficili, perché rischiano di essere prolisse e noiose.
Il segreto? Dare una personalità a ciò che descrivo e far vivere la sensazione del protagonista al lettore.

Come sempre, l’immedesimazione è centrale.
Vi mostrerò un estratto della bozza e poi della prima stesura.

PS: La prima stesura non è definitiva. Sarà seguita, a fine saga, dalla seconda stesura.
E poi, infine, il tutto passerà all’editing esterno di Antonella Cavuoto, che mi ha seguito nell’Anello di Saturno.

BOZZA:
Erik spinge la porta, che cigola su cardini ossidati. La cucina del castello è immersa in una penombra polverosa. Al centro troneggia un enorme camino annerito, abbastanza grande da arrostire un cervo intero. Pentole e padelle di rame, opache e incrostate, pendono da ganci arrugginiti, come trofei abbandonati. Il pavimento è cosparso di cenere secca e detriti, le mattonelle spaccate dal tempo. Sul tavolo di pietra, un coltello arrugginito giace accanto a una vecchia zuppiera incrinata. Ragnatele spesse come veli pendono dagli angoli del soffitto e si allungano sui mobili. L’odore è una commistione di muffa, legno marcio e legno affumicato. Da lontano, sente gli scricchiolii del legno gonfio di umidità, che sembra spingere sulle pareti di roccia pesante. «Nessuno cucina qui da secoli.», pensa, adocchiando la porta d’ingresso. La supera, infilandosi in un piccolo corridoio stretto e soffocante, e finalmente fuoriesce davanti all’ingresso maestoso.

PRIMA STESURA:
Erik spinge la porta, che cigola sui cardini ossidati. La cucina del castello è immersa in una penombra polverosa, densa come neve. Al centro troneggia un enorme camino annerito, grande abbastanza da arrostire un cervo intero. Ora giace spento, dimenticato come la selvaggina che nei secoli vi è stata divorata. Sui muri, pentole e padelle di rame, opache e incrostate, pendono da ganci arrugginiti come trofei abbandonati. Il pavimento è cosparso di cenere secca, schegge di legno e detriti. Le mattonelle, spezzate dal tempo, sostengono un tavolo di pietra: sopra, un coltello arrugginito giace accanto a una vecchia zuppiera incrinata, come un cimelio dimenticato in un altare domestico. Dalla finestra filtrano nubi scure. In controluce, ragnatele spesse come veli si tendono tra gli infissi. L’odore è un intreccio acre di muffa, legno marcio e fumo spento. Ascolta. Scricchiolii sommessi. Forse il legno gonfio d’umidità, forse presenze invisibili che ancora abitano il luogo. «Nessuno cucina qui da secoli», pensa, fissando la porta che conduce altrove. La attraversa, infilandosi in un corridoio stretto e soffocante. Le mura spesse sembrano stringersi su di lui, come se il castello volesse strangolarlo. Cammina a lungo, finché non emerge nell’ingresso principale: un luogo maestoso, congelato nel tempo.

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Come potete notare, sono passato da una dimensione documentativa e meramente descrittiva, a una dimensione più consona al genere della saga, thriller psicologico. Quindi più simbolica e sensoriale.
Le penombre rafforzano l’immaginazione di chi legge e i dettagli non sono solo «fotografia», ma «atmosfera».

Sono curioso di sapere cosa ne pensate, quindi vi aspetto nei commenti.