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"La sensazione favolosa di essere stata salvata dal principe azzurro, intrufolatasi nelle mie fantasticherie, inizia a sparire (e poi è tutto inutile, è accompagnato, maledizione), rimpiazzata da un’insinuante sensazione di panico, nel timore di ricevere ancora domande.

Non voglio raccontargli niente. Neanche lo conosco, e se anche così fosse, non cambierebbe nulla. Tenere al sicuro i fatti miei mi sembra tutt’ora la miglior soluzione possibile, nonostante prima io mi sia biasimata. Sono certa che il vomito per il nervoso è tranquillamente gestibile. Infatti, mi sento già meglio, emicrania a parte. Tutto ciò che voglio è andarmene… dovrò solo farmi qualche infuso come quello di poco fa. Certo.

-Non essere ridicola, bimba.-

Le mie mani si arrestano.

Questa volta la frase era un chiaro pensiero nella mia mente.

Così difficile da spiegarmi. Non l’ho sentito, nel termine fisico, ma è stato come ricordare la voce di qualcuno, un insieme di parole già scandite che ti tornano in mente, come quei motivetti irritanti delle pubblicità o le battute nei telefilm che impari a memoria.

Solo che non era niente che stessi pensando io.

Tantomeno, qualcosa già udita da qualcun altro.

Deglutisco. La vocina nella testa è diventata un vocione chiaro e forte.

Altro che grillo parlante.

Pietrificata, resto in attesa, per capire se mi sono sbagliata o se ho ancora travisato tutto.

Passano istanti infiniti in cui l’unico suono udibile è il mio battito cardiaco rimbombarmi nei timpani, qualche automobile in strada, la quale sagoma sfrecciante getta riflessi sulle pareti trapassando le tapparelle, null’altro. Infilo la seconda scarpa.

-Se non ti avesse soccorso, saresti rimasta riversa sul marciapiede per chissà quanto.-

Il mio cuore guizza.

Eh no, fantasia un cazzo, io lo sento benissimo!

“Chi sei?!” Urlo in puro istinto alla stanza vuota, tappandomi subito la bocca con la mano.

- Lo sai.-

Frugo convulsamente nei jeans, cercando quel dannato gingillo, terrorizzata nel modo più totale. Quando lo trovo, il suo sguardo limpido e fermo mi fa paura, perché lo sento, sento che sta fissando me. Sembra quasi bruciante, nel fondo della mia mano tremante.

“Tu…come…che cosa…”

-Non hai bisogno di parlarmi ad alta voce. -

Richiudo la bocca, interdetta. Beh, okay. “Che sta succedendo? Perché ti sento parlare?” Penso, prudentemente.

Passano ancora manciate di istanti infiniti e vuoti, nei quali rimango impalata, ritta dentro le Converse, nel buio chiazzato di albore di questa stanza che non conosco, a perdermi nel piglio della piccola iride. Diverse macchine sfrecciano in strada, sotto di noi.

Nessuna risposta."