“Getto un’occhiata rapida allo specchio qui di fronte in puro istinto, inquadrando la mia faccia imbronciata, tipica delle mattinate pre scuola. Sospiro. Eccomi qua, diciassette anni, la voglia di fare di una pluriottantenne, l’energia vitale di una mattonella e un sogno così grande che non so proprio dove metterlo, nulla che possa entrare in un cassetto. Pensarci appena sveglia, dopo l’ennesimo sogno catastrofico a tema, è del tutto meccanico, a quanto pare.
Un po’ come le anteprime dei film brutti, credo.
Sorrido tra me. Dunque… cinque anni e un giorno con questa fissazione per il doppiaggio. Buongiorno, Anvil.
Provo a farmi coraggio ricordando a me stessa i miei piani per il futuro, che prevedono il mio svignarmela da questa cittadina, in qualche modo, qualunque modo. Sogghigno, ballonzolando nella stanza per sfilarmi il pigiama e cominciando con le mie fantasticherie preferite.
Sicuro: me ne andrò da casa dei miei, signorsì, e finalmente avrò un lavoro in una sala doppiaggio, un autista fighissimo che mi scarrozza da casa (e con casa intendo un bell’appartamento tutto colorato e pieno delle cose che mi piacciono, quindi per tre quarti zeppo di manga e per un quarto di cibo giapponese) a lavoro mentre mi porge un bel bicchierone di, uhmmm, cioccolata calda con marshmallow, ammiccandomi e dicendo:
“Se qualcuno oggi la infastidisce, Milady, non deve far altro che attivare il cerca persone.”
Con un sorriso di quelli belli grandi e affascinanti, per inciso. Ah, sarà uno chef stellato che mi cucinerà qualsiasi cosa io desideri, ovviamente. Neanche dirlo.”