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"Ho stretto forte il finto Nazar, sempiterno nella mia tasca. È stato alquanto ingenuo farsi avanti forte solo di quel gesto segreto. O forse stavo mettendo il ciondolo alla prova per la via definitiva? Non ne ho idea. So solo che, se davvero mi avessero atteso dei ladri al di là dell’ingressetto, si sarebbero trovati di fronte una ragazza coi capelli scompigliati, un po’ infradiciata per la pioggia. Le occhiaie, il pallore, una speranza quasi spenta celata negli occhi, disarmata.

Un pugno in tasca.

Per fortuna o forse no, c’era mio padre al caminetto, a smuovere qualcosa con l’attizzatoio.

È bastato per farmi aumentare la tachicardia.

Sembravano secoli, dall’ultima volta che l’avevo visto.

Non ci siamo detti proprio un accidenti, giurerei per cinque minuti buoni. Era talmente strano trovarlo lì, così strano vedere mio padre e nel contempo scoprirci un estraneo, da togliermi ogni tipo di parola. Ora non era più mio padre. Era un uomo solitario, della solitudine stessa che mi scorre nelle vene e che, presto o tardi, molto più di adesso, farò mia. Era qualcuno che stava provando a rialzarsi, in quelle stesse gambe mie, e che provava ad andare avanti, proprio come me.

Ha tolto il sigaro dalle labbra e me l’ha proteso. Era spento, ma l’ha fatto ugualmente.

Non so neanche come gli sia balzato in testa, ma era un segno di contatto, e non me l’aspettavo proprio.

Nonostante questo, non ho fatto niente.

Lui ha ritirato la mano, rimettendosi in bocca il sigaro. Ha guardato il camino, solo allora acceso, per me: solo allora ne ho sentito il crepitio, e mi sono resa conto che la casa era immersa nel calore.

Nazar era gelido.

Non ho neanche provato a chiamarlo.

Stacco la punta dello Sharpie, e il mio cuore è un mulinello. Amore, odio, confusione.

Mi sento pazza, di nuovo. Non so perché l’ho scritto, eppure, ecco.

Le emozioni comandano, anche questa volta.

Sospiro rumorosamente, rileggendo la lettera, ancora e ancora. Avrei altre cose da dire. Mille altre. Duemila altre domande da fare, tremila risposte che vorrei sentire.

Ma si deve andare avanti.

A un certo punto.

Sfodero lo Zippo, dando vita alla fiammella.

Per qualche istante lui e la paginetta se ne stanno così, a fissarsi l’un l’altra in attesa del mio gesto.

Poi si incontrano, e la carta prende fuoco. Prima di un mio ripensamento.

Alzo i tacchi e mi allontano da quel mucchietto di cenere, lasciando che il vento se lo porti via, rassegnandomi a camminare sotto il temporale così come sto, senza ombrelli a ripararmi, sempre io. Cappuccio e mani in tasca.

E mentre l’acqua mi bagna, l’ultima riga della mia patetica lettera torna davanti ai miei occhi, come uno spettro.

-Antìo, Nazar.-

Che questa volta sia davvero."