"“Allora, Anvil.”
È come una scossa. Lo metto a fuoco, con il suo volto imbarbato colorato a intermittenza dalle luci sul palco.
Mi ha riconosciuto. Meglio mi sento.
L’ombra di un sorriso fa un tentativo vacuo sulle sue labbra. “Sarebbe bello se cominciassimo a incontrarci in contesti un po’ più piacevoli, non credi?”
Sono definitivamente seppellita nella vergogna.
“Intendi in un contesto nel quale non sto facendo una figura di merda? Sì, beh…” bofonchio, con la spinta dell’alcool. Coscientemente sarei rimasta in silenzio, credo. Ormai il demone della birra ha conquistato il volante.
Ciao ciao, belli. Non mi assumo nessuna responsabilità.
Qui mi aspettavo una risata, invece non accade nulla. È strano. Non potrei sapere quale faccia abbia Markus, sono troppo impegnata a non inciampare per verificarlo. Posso verificarlo solamente quando ci ritroviamo al chiuso e mi aiuta a sedermi su una delle seggiole sparpagliate nella stanza. Quando incontro il suo sguardo, ne resto colpita. È come se una maschera fosse sparita, e ora ecco la sua espressione.
Cupa. Lontana.
Deglutisco, intanto che il sangue riprende a circolare con regolarità nel mio corpo intirizzito.
Quel solco sulla sua fronte parla per sé. Ma non so cosa racconti.
Markus posiziona una sedia davanti a me spedendomi nell’ennesimo déjàvu, così rapidamente da farmi sobbalzare.
“Bene.” Altro sorriso. “Queste due volte nelle quali sono venuto in tuo
soccorso mi autorizzano un po’ a immischiarmi.”
Aggrotto la fronte. “… cioè?”
“Ritengo che tu sia molto giovane per avere già dei trascorsi con l’alcool.” “…”
Io veramente non…
Aspetta. Ma è convinto che mi fossi sbronzata anche la prima volta che mi ha visto? Boh? Ma poi, non saranno affaracci miei? Guarda tu.
“Come mai avete bevuto così tanto?”
Inclino la testa. “Ora mi legherai alla sedia e mi punterai una luce in faccia, signor Mark?”
Lui cambia espressione. Mi studia per un po’. “Non mi piace vedere una ragazzina della tua età che si autodistrugge in questo modo.” Si schiarisce la voce. “Può andare?”
“Non sono più una ragazzina.” Ribatto, duramente.
“Come preferisci.” Markus inclina le labbra. “Ma è la seconda volta che ti incontro e la situazione sembra perfino peggiorata.”
“Ma a te che te ne frega?” Sbotto, con troppa irritazione. Lui incrocia le braccia. “Mica sei mio padre!”
Il suo volto si contrae. È indescrivibile, e ricorda inquietantemente l’espressione di Gniz, prima, nel buio delle tribune.
Mark si alza. Infila le mani in tasca, china il capo. Inspira di gola. Passa una mano fra la sua chioma, così folta e lucida da sembrare viva.
Sembra indeciso. Incastrato. Come nel suo appartamento.
Sposta la seggiola. La rimette al suo posto. Non mi guarda in viso. Io mando giù tutta l’acqua in una volta.
Poi, prende fiato. “Già. Mi devi perdonare.”
Un frastuono assordante richiama la nostra attenzione lungo il corridoio.
Senza una parola, Markus mi lascia qui, col mio capogiro e il bicchiere vuoto in mano, frastornata.
Pure sta volta. E dai così.
Fisso Iman adagiata accanto al leggio, ripercorrendo con la mente il nostro stranissimo scambio di battute.
Cosa vuole da me, questo tipo? Mi ha aiutato due volte in croce e pensa di essere autorizzato a…
L’occhio mi cade sulla foto con Cristina, dietro il leggio. Lei non fiata, ma non so perché, sembra dirmi: “Perdi troppo tempo inutilmente, dietro
queste stronzate paranoiche.” "