“Accosto il Nokia all’orecchio, sfilandomi uno degli auricolari. “Francis? Ci credi? Oggi c’è il sole e mi tocca andare a scuola. E ieri che ho avuto il giorno libero senza neanche farlo apposta, pioveva?! Ahahaha. Che culo, eh?” Guadagno il viale a passi moderati, riuscendo finalmente ad ammirare gli alberi ancora spogli in attesa della primavera, con il loro contrasto nero sullo sfondo del muretto a mattoncini con il parapetto, affacciato sulla piazzola del vecchio stabile pieno di palazzi bianchi. Il sole inonda di luce i loro rami, facendo luccicare la corteccia scura imperlata di gocce d’acqua. “E mi sono pure vestita da eschimese. Con ‘sto caldo. Ehhh, sì. Come? No, non c’ho tempo di tornare a casa a cambiarmi. Potresti correre a rapirmi, però. La benza l’hai messa?” Sento l’aria fresca sulle guance, ma niente a che vedere col freddo di ieri. Nonostante incontri, percorrendo la solita strada, diverse pozzanghere abbaglianti accoccolate nelle cunette, l’asfalto sembra quasi asciutto, e più vado avanti, più mi sento accaldata. “Ammazza, c’hai sempre da fare, però. Ti lanciavo il cappotto nel finestrino e te ne andavi, se proprio stai di corsa. Vabbè bello, ci vediamo all’uscita, dai. Porta la pizza. Ciao.”
Comincio a inseguire la mia amica, che intanto ha imboccato le scale. Quando arriviamo in cima, prima di separarci per andare nelle nostre rispettive aule, faccio per toccarle una spalla, ma mi sbilancio per la debolezza delle mie gambe, e tutto ciò che ottengo è acchiapparle di sbieco la cartella piena di strass. Lei si volta con la fronte corrugata. “Ehm…che fai?”
“Io… n-niente” balbetto, rimettendomi dritta. Lei mi guarda con la stessa espressione dell’entrata, mentre la folla raggiunge il piano superiore e si sparpaglia per le classi. Il brusio ci raggiunge anche qui. Lisa è ancora in attesa. Prendo fiato ed esterno: “Mi dispiace se …” ma lei mi interrompe con un gesto della mano.
“Lo so.” Stringe le labbra. “Dai. Ne parliamo dopo.”
La fisso allontanarsi, senza riuscire a togliermi da mezzo, lasciandomi spintonare dalla folla frettolosa e ascoltando una sensazione sconosciuta salirmi in gola, amara come una medicina cattiva.
Non so che cosa cazzo c’ho.
Infilo la mano in tasca e stringo l’occhio greco, osservando Lisa sparire dal corridoio.”