In questa recensione parliamo del classico, forse fondamentale: Il fascino discreto della borghesia (Le charme discret de la bourgeoisie), film del 1972 diretto da Luis Buñuel.
In quest'opera surrealista, anti-borghese e anticlericale viene affrontato come non mai il tema del sogno in chiave psicoanalitica.
Il costante richiamo a Freud si unisce alla volontà di mostrare, con pochi mezzi e tante idee, il paradigma alienante che sottende la costante presenza di atti mancati, non compiuti dai protagonisti, a dimostrazione di un'esistenza volta unicamente al perseguimento di un interesse criminale e mondano costellato di satelliti quali le istituzioni morali e militari, descritte come conniventi o imbelli.
Il regista Luis Buñuel, sodale di Salvador Dalì metaforizza e traspone nella sua opera un surrealismo situazionale che rispecchia la storia della propria esperienza personale.
L'esodo, la dittatura il successo e la necessità di una critica attiva e fattiva nei confronti di un reale da cui ci si deve soltanto liberare, senza la possibilità di capirlo.
Uno sguardo attonito su un epoca chiave, l'opera di un protagonista fedele alla propria volontà di non allineamento.