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In questa recensione parliamo di Videodrome, il film più iconico e rappresentativo di un intero genere, quello del body horror. Forse l'opera più conosciuta e immediatamente associata al maestro del cinema David Cronenberg, il film porta con se un cast d'eccezione: James Woods, Sonja Smits, Deborah Harry
Il film narra la discesa nell'abisso di un produttore televisivo alla continua ricerca di maggior profitto. Sullo sfondo di un Canada alienato e liberista, i nostri perderanno il contatto con la realtà fino alle più estreme conseguenze.
In questa storia di orrore e straniamento si arriva a ragionare su come il medium sia il messaggio e quale possa essere il potere del capitale sui media. Un potere trasformativo che rende plastici i corpi fino alle unioni più grottesche. La commistione di uomo e macchina come metafora di un'umanità meccanizzata e atroce, che trova nel sadomasochismo l'unico modo per sentire ancora qualcosa.
David Cronenberg è un artista capace di valicare le sponde del prevedibile e diventare leggenda.
Un uomo che ha definito la nascita di un genere, affermando un tema. L’inquietudine e il terrore scaturiti dal rapporto con il corpo.
Se ogni tipo di estetica è per necessità estesica, per citare M. M. Ponty, i cinema di Cronenberg ci racconta in che modo tale rapporto necessitante tra corpo ed esperienza sia intriso di inquietudine e terrore e come, ancora una volta, tale terrore sia ulteriore alla mera esperienza del dolore, ma riguardi l’incapacità di riconoscersi.
Il body horror, dunque, altro non è che una onesta ammissione di fragilità. Il terrore di perdere i propri confini corporei, come prodromo dell’atto mancato del dismorfismo come mispercezione atta al non riconoscimento di sé.
Ed ecco allora che l’intera carriera del nostro si dipana lungo la linea sottile dei nervi di questi corpi resi materia plasmabile. A cavallo tra i generi, partendo dall’horror fino alla maturità del thriller.
E forse, allora, oggi più che mai ha senso domandarsi come una finzione filmica del ruolo del corpo nel dolore intrapsichico dei protagonisti messi in scena dal regista, possa raccontarci e forse profetizzare un nuovo modo di intendere l’uomo nella civiltà delle macchine. Dove il nostro cuore meccanizzato implora una ferita per poter dire ancora io c’ero, io esisto.