Ci sono libri che servono a passare il tempo, altri per attraversarlo, altri ancora per viaggiare o imparare qualcosa. E poi ci sono i libri necessari. Quelli che salvano le persone che li scrivono, quelli salvano le persone che li leggono, quelli che ci costringono spalle al muro e ci impongono di non girare lo sguardo. Beirut- Verona, sola andata è uno di questi.
Quando ho contattato Robert El Asmar dopo aver letto il suo libro, mi ha chiesto quasi con innocenza: Ti è piaciuto? Gli ho risposto senza esitare, no, non mi è piaciuto. Perché è un libro che fa male.
Perché non è una storia inventata, ma qualcosa che quest’uomo che avevo dall’altro capo del telefono aveva vissuto, perché gli era successo qualcosa di così tremendo ad un’età così giovane, che non può piacere a nessuno.
Ma come dirà lui quando cominceremo a parlare, questo libro è un cerchio che si chiude nella sua vita. Aveva bisogno di scriverlo così come è un cerchio che si apre per noi, che abbiamo sempre bisogno di sapere che le cose terribili accadono e che non bisogna andare tanto lontano per incontrarle.
Un podcast di Barbara Schiavulli