Donald Trump ama la Russia. Non per ideologia, ma per riconoscenza. Nel 2022, mentre il suo social network Truth Social arrancava e il progetto Trump Media rischiava il collasso, a tenerlo in vita fu un prestito di otto milioni di dollari proveniente da un trust con base a Hollywood, Florida, ma radici finanziarie e politiche ben piantate a San Pietroburgo.
Dietro quei fondi, infatti, c’è Anton Postolnikov: russo-americano, co-proprietario di una banca registrata in Dominica, indagato da FBI e Homeland Security per riciclaggio e insider trading. È anche nipote di un fedelissimo di Vladimir Putin. Non un dettaglio da poco, considerando che Trump oggi è tornato alla Casa Bianca, e a Putin continua a fare comodo.
Quel denaro, ufficialmente “opaco”, ha permesso al magnate di aggirare le banche americane, troppo riluttanti a finanziare un ex presidente sotto inchiesta. I prestiti arrivarono tramite ES Family Trust, veicolo creato ad hoc, che in cambio ottenne azioni convertibili oggi valutate fino a 40 milioni di dollari. Un salvataggio travestito da investimento.
Trump, come sempre, “non sapeva”. Ma oggi blocca gli aiuti all’Ucraina, rallenta la Nato, ostacola Zelensky. Non per strategia, ma per coerenza. Chi gli ha dato una mano, ora riceve il dividendo politico.
Altro che Russiagate. È la geopolitica degli affari. Ed è appena iniziata.
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