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COSA DICE LA CHIESA SULLE VISIONI DI MARIA VALTORTA di Rino Cammilleri
Il dicastero vaticano per la Dottrina della fede ha dichiarato che «"visioni", "rivelazioni" e "comunicazioni" contenute negli scritti di Maria Valtorta, o comunque a essi attribuite, non possono essere ritenute di origine soprannaturale». Ergo, la Valtorta non è una veggente. Roma locuta, causa finita. Forse. Perché ai ripensamenti, magari secolari, di Roma ormai siamo abituati. Ero ancora uno studente universitario fresco di conversione religiosa quando qualcuno dei miei nuovi amici mi mise in mano non un libro, bensì quindici. I primi tre erano la trilogia de Il signore degli anelli (più un quarto, Lo hobbit), gli altri erano i volumi de Il poema dell'Uomo-Dio di Maria Valtorta. Il titolo, dopo alcuni anni, fu mutato in L'Evangelo come mi è stato rivelato, che, messo così, prendeva netta posizione su quella che per i fan era una rivelazione privata tout court. Con la lena del neofita li lessi tutti, e devo dire che non faticai affatto: erano libri che trascinavano e, ricordo, talvolta restavo sveglio tutta la notte per vedere come andava a finire. La Valtorta non era la prima a scrivere una dettagliata biografia di Gesù.
ANNI VISSUTI A LETTO
Prima di lei c'erano state María di Ágreda (XVII secolo) e Katharina Emmerick (XIX secolo, e si dice che qualcosa del genere sia in preparazione a Medjugorje). Quel che la Emmerick, analfabeta, dettò allo scrittore Clemens Brentano permise ad alcuni archeologi di scoprire la casa della Madonna a Efeso, Meryem Evi, oggi in Turchia: era esattamente dove e come la veggente, inferma a letto, l'aveva descritta. Anche la Valtorta era irrimediabilmente a letto, anche se, a differenza della Emmerick, era quasi arrivata al diploma prima che un comunista («Colpirne uno per educarne cento») non le spezzasse la schiena a tradimento con una sbarra di ferro nel 1920 a Firenze. Suo padre era un ufficiale di cavalleria di stanza a Caserta, dove lei nacque nel 1897, sua madre insegnava francese. Dopo quella botta, il trasferimento finale a Viareggio, dove dal 1934 fino alla morte (1961) non poté più lasciare il letto. Dal 1943 al 1947 scrisse a mano ciò che, asseriva, Gesù le dettava: 15.000 pagine, 122 quaderni. Oggi riposa nella basilica fiorentina della Santissima Annunziata, retta dai Serviti. L'opera, ormai diffusa in una ventina di lingue, ebbe da subito problemi con l'allora Sant'Uffizio, quantunque Pio XII sembra non le fosse contrario. Io, che ho letto tutti i volumi, devo dire che qualche particolare narrato mi lasciò perplesso.
Lo stile mi parve subito quello di una donna, mi si passi l'espressione, innamorata. Innamorata di Cristo, cosa che va benissimo, ci mancherebbe. Ma in lei diventava una descrizione minuziosa, anche troppo attenta ai dettagli. Un maschietto come me, per esempio, non è molto interessato al fatto che le orecchie della Madonna in fasce sembravano boccioli di rosa, né che sui piedi di Gesù trasparivano delicate vene bluastre. Dettagli da innamorata coinvolta, appunto. La quale, però, "vedeva" anche altro, ed è questo "altro" che rende la sua opera intrigante. L'"altro" è lo sfondo, i paesaggi, le abitudini e gli usi, i nomi delle località e le loro ubicazioni, i dati climatici, la flora, le strade, i fiumi, i cibi, le costruzioni. Come in un film. Certo, si potrebbe pensare che la Valtorta abbia fatto come Salgari, che l'ambientazione dei suoi romanzi la trovava alla pubblica biblioteca, non avendo mai viaggiato. Solo che la Valtorta non aveva niente del genere a disposizione. Di più: certe cose da lei descritte sono state portate alla luce dagli archeologi molti anni dopo la sua morte. Dieci volumi di dati storici, topografici, cronologici, architettonici. E tutti esatti, si badi. Da notare che nemmeno un turista erudito potrebbe accumularli, per il semplice fatto che si tratta di sapere non come stanno adesso le cose ma come stavano duemila anni fa. Per esempio, non ci sono coccodrilli in Terra Santa, è noto. Ma c'erano ai tempi di Gesù, forse portati dall'Egitto, e ciò è oggi assodato. Ma come faceva la Valtorta a saperlo? L'esistenza di una città di nome Krokodeilos è stata appurata solo nel 1999.
L'ARCHEOLOGIA CONFERMA
Uno studioso francese, Jean-François Lavère, si è preso la briga di spulciare rigo per rigo l'opera della Valtorta, incuriosito dal fatto che, in essa, delle tre piramidi di Giza ne compaia una sola. Come, così precisa in migliaia di dettagli e poi una topica tanto madornale? Ora, la Fuga in Egitto terminò a Matarea, quartiere dell'antica Heliopolis, oggi El Matariya. C'era una folta comunità ebraica, ed è logico che la Sacra Famiglia vi cercasse alloggio e lavoro. L'"Albero di Maria" e "La Fontana di Maria" là sono ancora oggi venerati dai copti. Ebbene, la località è a solo 20 km dalle tre famose piramidi, ma la Valtorta ne "vedeva" una sola per il semplice fatto che da Matarea si vede solo la più grande, che nasconde le altre due. Ancora: Caecilius Maximus. Chi era costui? La Valtorta lo nomina appena. È uno dei due soldati romani di cui riferisce un breve colloquio. E riporta la data: inizi dell'anno 29. Ebbene, in una scritta su coccio ritrovata a Pompei nel 1959 compare tal Caecilius Maximus e lo dice presente nella vicina Puteolis (Pozzuoli) in data luglio dell'anno romano che corrisponde al 29 della nostra era. Pozzuoli era il primo porto d'approdo per chi veniva dalla Palestina e si dirigeva a Roma. Certo, che ci fossero due soldati romani con lo stesso nome è probabile. Un po' meno che fossero entrambi in quei luoghi nello stesso anno. Chi inventasse sparerebbe un, che so, Massimo Decimo Meridio, come nel film Il gladiatore. Che, pur avendo a disposizione fior di studiosi, sbaglia, perché un romano antico vero si sarebbe chiamato, semmai, Meridio Decimo Massimo.
Per quanto riguarda i luoghi, la Valtorta li descrive, dicevamo, in maniera filmica. Come fa, per esempio, quando dettaglia le due cime con in mezzo una specie di sella, in occasione del Discorso della montagna. Oggi sappiamo trattarsi dei Corni di Hattin, dove Saladino, alla conquista di Gerusalemme, sbaragliò l'esercito crociato (come narrato in un altro - discutibile - film dello stesso regista de Il gladiatore, Le crociate). E come faceva la Valtorta a sapere dell'esistenza di Alessandroscene, città di cui ai suoi tempi non restava che qualche pietra nota solo agli archeologi? E della foresta pietrificata in Egitto, luogo divenuto turisticamente interessante solo nel 1989? E poi: Jotapata, scoperta solo nel 1992; Magdalgad e Lesendam, menzionate una sola volta nell'Antico Testamento e ritrovate solo nel 1966 da archeologi israeliani; la fortezza di Doco, Docus per i romani, della quale nessuno sapeva niente perché scomparsa, ma che la Valtorta menziona più volte; la colonia greca di Posideion, già in rovina ai tempi di Gesù e la cui ubicazione ancora oggi è nota a pochi studiosi. E si potrebbe continuare a lungo. Insomma, se quella valtortiana è solo invenzione, allora è un (misterioso) romanzo di fantascienza sui viaggi nel tempo.