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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8317

L'INQUISIZIONE NE SAPEVA UNA PIU' DI GALILEO di Giorgio Cavallo
 
«Eppur si muove!»: uno degli aforismi più celebri della storia. Peccato che, come spesso le cose troppo belle celano un trucco, anche la storia di Galileo davanti all'Inquisizione nasconde una verità ben diversa: sotto la patina dell'aneddotica - e dell'aneddotica anticattolica - la storia dello scontro tra il più grande scienziato dei suoi tempi e l'Inquisizione sia profondamente diversa. Ecco come andarono le cose.
Nella prima metà del XVII secolo, l'Europa attraversava un'intensa trasformazione culturale, politica e religiosa. La scoperta dell'America aveva cambiato la percezione geografica del mondo; la rivoluzione scientifica, con figure come Copernico, Keplero e anche il nostro Galileo, aveva messo in discussione la cosmologia aristotelico-tolemaica tradizionale. Infine, vi era la Rivoluzione protestante, metastasi sorta dalle eresie del secolo XV che, a differenza delle prime, era dilagata in tutto il Nord Europa e minacciava di mettere radici anche a sud delle Alpi. Come aveva risposto la Chiesa di fronte alle grandi sfide della sua epoca? Con la Controriforma, o Riforma cattolica, mediante quel lungo laboratorio che fu il Concilio di Trento (1545-1563), il quale aveva tra le altre cose rafforzato il ruolo dell'Inquisizione.
GALILEO GALILEI
Galileo Galilei (1564–1642), matematico e astronomo, si inserì in questo contesto come sostenitore del sistema eliocentrico copernicano, in aperta contraddizione con il modello geocentrico ancora ufficiosamente sostenuto dalla Chiesa. Ora, la questione qui si fa delicata e, per capirla, è opportuno comprendere il pensiero della Chiesa sempre alla luce delle grandi rivoluzioni scientifiche, geografiche e della geo-politica di allora. I papi - o, per meglio dire, i loro esperti - ritenevano davvero che la Terra potesse essere al centro dell'universo, rifiutando le tante evidenze scientifiche? Ecco, proprio qui sta il bello: la teoria eliocentrica, infatti, per quanto stimolante non aveva ancora delle prove scientifiche che potessero dimostrarne la bontà. Per assurdo: non le aveva Copernico, non le aveva Galileo. Quando, messo alle strette, lo scienziato pisano dovette provare le sue affermazioni dati alla mano, si inventò le cose più assurde, tirando in ballo anche le maree come evidenza del fatto che la Terra girasse attorno al Sole e non viceversa. Noi sappiamo che la prova definitiva sulla materia arrivò soltanto con l'esperimento del pendolo di Foucault, presentato al pubblico di Parigi soltanto nel 1851. Galileo non poteva che arrampicarsi sugli specchi, perché sapeva di essere nel giusto ma sapeva anche di non poterlo dimostrare. E la Chiesa, purtroppo, sapeva che Galileo poteva essere nel giusto ma sapeva anche di non poterlo affermare: non si trattava di uno scontro tra scienza e fede, come spesso è stato dipinto; si trattava di buonsenso. Nell'Europa di allora, dilaniata dalle guerre di religione, un'apertura verso una nuova teoria scientifica da parte del Papa avrebbe significato dare fuoco alle polveri di un nuovo scontro ideologico tra cattolici e protestanti. Perché sì, nel Nord Europa i protestanti si facevano davvero scudo con i Testi Sacri che, essendo stati tradotti per la prima volta da Lutero erano ora di libero accesso a molte più persone. Già le teorie di Copernico, pubblicate postume nel 1542, avevano suscitato un vespaio di polemiche nei territori protestanti.
COPERNICO ERA CATTOLICO
Piccola annotazione: Copernico era cattolico ed era canonico della cattedrale di Frauenburg, avendo preso gli ordini minori. Roma dava ospitalità (e rifugio) a molti scienziati. I papi non hanno mai rifiutato di confrontarsi con la scienza; semmai, all'epoca, era vero il contrario: le dittature teologiche come quella instaurata da Calvino a Ginevra tutto erano, fuorché "aperte" e "dialoganti" con il pensiero scientifico moderno. Per paradossale che possa sembrare, dunque, la Roma dei papi costituiva uno dei baricentri del sistema scientifico di allora, mentre l'Europa protestante, per giunta devastata dalle guerre di religione, non poté per molto tempo essere considerata all'avanguardia su questo punto.
Certo, c'era uno scotto da pagare anche in terra cattolica. Vale a dire: non si era liberi di affermare pubblicamente la verità di studi e ricerche scientifici che non fossero validamente provati in modo inconfutabile. Ma, a ben pensarci, è sempre la solita questione di buon senso: non soltanto per evitare scontri scientifico-teologici con il mondo protestante, quanto per non propagandare teorie sbagliate, con gravi ripercussioni su tutti. Roma non avrebbe potuto "metterci la faccia"; temendo di incorrere in un errore madornale, come quel tale che andò in Occidente per giungere in Oriente e che in mezzo trovò un continente sconosciuto, i papi semplicemente ripiegarono sull'usato sicuro. E cioè la teoria geocentrica che, perlomeno, godeva della confortante protezione data dai grandi dell'antichità.
Torniamo però a Galileo, che non si limitava soltanto a scrivere saggi ma che insegnava la teoria eliocentrica in università (e le università erano state fondate ed erano gestite dalla Chiesa). Nel 1616 la Congregazione del Sant'Uffizio esaminò le tesi copernicane con un vero e proprio esame scientifico. Il cardinale Roberto Bellarmino era, d'altronde, uno dei più grandi cervelli della sua epoca. Il futuro santo e Dottore della Chiesa comunicò a Galileo che non avrebbe potuto sostenere né insegnare pubblicamente la dottrina eliocentrica come vera, ma solo come ipotesi matematica. Galileo fu dunque invitato alla prudenza.
Nel 1632, Galileo pubblicò il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, che ottenne anche l'imprimatur da Roma mediante l'intercessione nientemeno che del Papa Urbano VIII Barberini. Questi, quando era ancora cardinale, aveva protetto l'eretico Tommaso Campanella ed aveva sempre dimostrato una grande apertura verso le ricerche scientifiche. Urbano VIII aveva dimostrato anche la sua buona volontà anche verso Galileo, ma le cose andarono in modo diverso. In primo luogo, il contenuto dell'opera di Galileo fece storcere il naso a molti: la figura di Simplicio, portavoce delle idee tolemaiche e apparentemente ridicolizzato nel testo, fu percepita come una sfida diretta all'autorità della Chiesa e la diffusione dell'opera fu, per quanto possibile, ostacolata. Il 12 aprile 1633 Galileo fu quindi convocato a Roma per affrontare il processo. Il fulcro dell'accusa non era tanto il contenuto scientifico del Dialogo, ma la presunta violazione dell'ammonizione del 1616. La Santa Inquisizione sostenne che Galileo avesse infranto un ordine diretto di non trattare la dottrina copernicana in alcun modo.
EPPUR SI MUOVE: GALILEO NON L'HA MAI DETTO
Nuovamente, la questione di Galileo appare paradossale: lo scienziato pisano si era esposto pubblicamente senza assecondare quell'invito alla prudenza che, nel suo caso, doveva apparire come un imperativo morale in quanto cattolico. Galileo aveva quindi rifiutato di sottostare al Papa, preferendo la via dello scontro frontale. Non era soltanto una questione di carattere (e il carattere di Galileo era notoriamente pessimo) ma di forma e di metodo; ed era in gioco anche il modo di interpretare la scienza. In parole povere: Galilei si faceva schermo della scienza per poter affermare ciò che voleva, andando contro anche ai fraterni ammonimenti del Papa.
Con il senno di poi, Galileo si poneva verso la scienza con la sicumera di uno scientista, cioè di colui che eleva la scienza a metro di giudizio del mondo. Ma lo scientismo non è scienza: è dottrina, è fanatismo. Perché la scienza può sbagliare ed, anzi, il metodo scientifico si basa proprio sulla possibilità di sperimentare e quindi di saggiare gli errori. Questa era la posizione della Chiesa che, quindi, era più... scientifica di Galileo! E Galileo, che per altro si era invischiato in questioni teologiche che non gli competevano, il 22 giugno 1633 fu costretto ad abiurare pubblicamente le sue convinzioni. La cosa si esaurì lì: tanto rumore per nulla. Galileo fu condannato alla recita settimanale dei sette Salmi penitenziali per tre anni e alla "reclusione" nella villa dell'ambasciatore del granducato di Toscana, poi in quella dell'arcivescovo Piccolomini a Siena ed infine nella villa posseduta dallo stesso Galileo ad Arcetri. Per altro, l'insostenibile penitenza della recita quotidiana dei Salmi penitenziali fu poi sgravata dalle sue spalle e assegnata alla figlia Maria Celeste, che era suora di clausura.
Era evidente che la Chiesa volesse risolvere la questione senza scandalo; semmai, a gettare benzina sul fuoco furono coloro che lessero il "caso Galileo" come uno scontro tra scienza e fede. Cosa che non fu: all'epoca si riteneva ancora che si potesse fare scienza in seno alla Chiesa e che, anzi, la stessa teologia fosse una scienza.
I detrattori del cattolicesimo si inventarono la tortura di Galileo (mai avvenuta) e anche il celebre aforisma «Eppur si muove», che compare per la prima volta tra le pagine di Giuseppe Baretti, polemista del secolo XVIII. Ed infine, la beffa: il caso Galileo, come scontro titanico di un uomo, rappresentante della Scienza, contro la Chiesa Cattolica, divenne così celebre che fu tra i primi documenti trafugati dai giacobini al momento dell'invasione degli Stati Pontifici. Pare che i fascicoli processuali passarono nientemeno che tra le mani di Napoleone, il quale li lesse con attenzione. E poi? Tornarono a Roma fortemente lacunosi: il fascicolo dell'Archivio Apostolico Vaticano manca delle parti f