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I curdi possono sperare di essere tra i pochi che traggono qualche vantaggio dalla feroce rimappatura violenta del Sudovest asiatico che sta andando in scena sul palcoscenico del Palazzo di Vetro newyorkese?    

 Vigilanza curda: diversa per ciascun paese della loro frammentazione
A partire da questa domanda Antonella De Biasi, giornalista ed esperta della regione mediorientale, ha restituito un disegno del Sudovest asiatico a partire dal Federalismo democratico del Rojava come unica realtà di rispetto dei diritti e di un’amministrazione aperta a tutte le comunità che abitano il territorio; all’interno di Israele ci sono stati molteplici sostegni alla lotta curda (anche in funzione antiturca). Ma attualmente al-Jolani – come si faceva chiamare il tagliagole ora chiamato al-Shara, quando Antonella nel 2022 ne aveva tracciato la figura nel suo libro Astana e i 7 mari – è il padrone di quella che era buona parte della nazione governata fino a un anno fa dalla famiglia Assad, e probabilmente in questi giorni la volubilità di Trump sembra attribuire a Erdoğan il protettorato su una Siria governata da una sua creatura, in virtù delle promesse di stabilità profuse dal presidente turco, un’investitura conferita nonostante le milizie di modello ottomano: predoni che imperversano lungo le coste del Mediterraneo orientale.    

Spaesamento e impotenza armena: revisionismo entità
Poi si è affrontata la diversa strategia dei curdi siriani rispetto all’apertura di Ocalan, che ha invitato il Pkk a deporre le armi, come altra situazione è ancora quella dei curdi iraniani. Ma la problematicità insita nell’egemonia turca su quell’area travolge anche e maggiormente la comunità armena alla mercé dei fratelli azeri dei turchi; e furono le prime vittime di un genocidio del Secolo breve. Ora gli armeni hanno ancor meno alleati e sostenitori del solito, visto che il gas di Baku fa gola a tutti; e gli viene sottratta pezzo per pezzo identità, terra, riferimenti culturali. Oltre alla diaspora. La speranza di accoglienza europea è a metà con l’alleanza con i russi, disattesa da Putin, ma ancora valida. E Pashinyan non ha alcuna idea o autorevolezza per rappresentare gli armeni.    

Relazioni tra Israele e Turchia
Un’ipotesi di Al-Jazeera vede la Turchia nel mirino israeliano per assicurare l’impunità di Netanyahu che si fonda sul costante stato di guerra, ma anche perché è l’ultima potenza regionale non ancora ridimensionata dall’aggressività sionista. Peraltro la rivalità risale a decenni fa e in questo periodo di Global Sudum Flottilla si ricorda la Mavi Marmara assaltata dai pirati del Mossad uccidendo 10 persone a bordo, mentre cercava di forzare il blocco navale di Gaza. Fino a che punto può essere credibile una guerra scatenata da Israele contro la Turchia? Secondo Antonella De Biasi è difficile che possa avvenire, non solo perché Erdoğan è più abile di Netanyahu (al rientro da Tianjin ha chiesto a Trump gli F-35, dimenticando i sistemi antiaerei comprati da Mosca), ma perché gli affari anche di ordigni militari non si sono mai interrotti, inoltre a livello regionale l’alleanza con Al-Thani dovrebbe mettere al riparo la Turchia da attacchi sconsiderati e senza pretesti validi… certo, con il terrore di Netanyahu non si può mai sapere.  
  
Cosa rimane del sistema di Astana?
Facile interpretare la presenza a Tianjin dei leader che erano soliti incontrarsi sotto l’ombrello di Astana come confluenza di interessi, meno semplice capire fino a che punto ciascuno di loro e gli altri protagonisti del Shangai cooperation organization siano posizionati in più o meno consolidate alleanze. Sentiamo Antonella De Biasi e sugli stessi argomenti poi anche Murat Cinar in questo spreaker che abbiamo registrato subito dopo aver sentito Antonella: Trump incontra Erdoğan