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Rodrigo Duterte si era dichiarato «felice di uccidere» e quindi le prove e la confessione pubblica del reo dovrebbero agevolare la sentenza del processo della Corte penale internazionale dell’Aja prima che il corso della natura renda inutile il giudizio di un ottantenne macchiatosi di orrendi delitti contro l’umanità. Abbiamo chiesto però a Paolo Affatato qualche considerazione sulla perplessità che ci è scaturita in relazione al fatto che sia stato catturato proprio a Manila – di ritorno da un tour di comizi a Hong Kong, snodo per lavoratori filippini all’estero (a dimostrazione del fatto che avrebbe potuto continuare a fare danni all’umanità) – dove sua figlia è la vicepresidente del figlio di Marcos, eppure non ha potuto fare nulla per salvarlo: infatti il giorno stesso è stato impacchettato per l’Olanda, dove è incarcerato.
Paolo Affatato ci ha rivelato che esattamente questo è il punto: la convivenza del ticket dei due pargoli delle dinastie filippine si è trasformata in aperto conflitto all’interno del paese avviato alle elezioni di mid-term. Ma anche le relazioni esterne strettissime con la Cina e comunque affini a Trump non è chiaro se potranno evitare la condanna od ottenere il rilascio dell’ingombrante amico.

Licenza di uccidere
La corte ha potuto perseguire il criminale ex presidente filippino per il suo sistema di torture, giustizia sommaria extragiudiziaria, omicidi e terrore con cui ha colpito tossici, pusher e pesci piccoli del narcotraffico, senza minimamente toccare i trafficanti, ma gettando nella paura e facendo strage di almeno 25.000 persone durante il suo mandato come sindaco e poi presidente, parvenu figlio di un’attivista della liberazione dalla dittatura di Marcos-padre. Paolo Affatato ci testimonia della lotta violenta e impunita al crimine, avendo assistito al lavoro sporco degli squadroni della morte, cacciatori di taglie di cui Duterte si intestava i risultati.
Si può sperare che questa inopinata cattura possa risvegliare la incosciente società filippina, soprattutto i giovani immemori sia della dittatura di Marcos – che non hanno vissuto –, sia del terrore di Duterte, che possano recuperare la storia di un paese mai realmente liberato da solide dinastie sanguinarie che detengono il potere economico. Forse il movimento connotato dal colore rosa?