I VECCHI DELLA GUERRA
C’è un termine che il nostro tempo dell’efficientismo non ama: vecchio.
Sembra che dire vecchio sia sinonimo di un qualcosa che disturba, che non c’entra niente significa solo “Che è molto avanti negli anni”. Colui che si trova nell’arco di tempo in cui non si produce più e quindi, per la logica imperante moderna, ciò che non è produttivo non ha valore. Grazie a Dio non tutti la pensano così.
Non ci deve spaventare che tutti - inevitabilmente – andiamo avanti con gli anni. Che tutti diventiamo – o già lo siamo – vecchi.
Quindi oggi uso con tanta deferenza e rispetto questo termine e non altri.
“Vecchio” è sinonimo di storia vissuta, di ricchezza e lunga esperienza di umanità. Vecchio è sinonimo di sacralità della vita!
I vecchi si sa, hanno il passo lento. Poggiano su gambe stanche che già hanno consumato tante energie nel tempo andato.
L’incedere lento sembra portare con sé tutta la pesantezza di una vita.
Se entri nei loro sguardi, vi leggi il racconto di pagine di storia, di tanti anni di esistenza.
Lì, dentro a quegli occhi, ci sono i sorrisi dei figli, dei nipoti, degli affetti cari.
C’è la gioia dei compleanni e delle ricorrenze comandate.
Il piacere dei pasti, semplici e gustosi. Dei canti accompagnati dal suono tipico della bandura strumento popolare ucraino, a corde pizzicate … un delicato mordere le corde per dare ritmo e suono alle tradizionali danze imparate sin da piccoli. Quel cantare e danzare in cerchio, stretti con le braccia sulle spalle del vicino e … ondulare, ondulare, …vibrare, vibrare e cantare, si cantare … che bello … quando non si aveva che poco o nulla e lo stare insieme per danzare e cantare era tutto un piacere, una festa. Quanti sorrisi, quelli profondi e veri dei semplici.
Quelle danze e quei canti imparati anche dai fratelli di sempre, ma che ora stanno al di la del confine. Loro che con la balalaika, accompagnano gli stessi passi, le stesse note, le stesse canzoni e vivono le stesse emozioni. Tutte quelle raccolte nella profondità degli occhi, di quei vecchi fratelli di un tempo.
Si sa, la musica è la lingua dei popoli. Quella che unisce, non quella che divide. Quella parlata con il cuore e il cuore abbatte ogni confine “senza di colpo ferire”. Il cuore è disarmato e disarma!
Quanta gioia raccolta in quello scrigno di occhi vecchi.
Gli occhi degli ormai antichi e solenni madri e padri con davanti a loro meno tempo di quello che spinge le loro spalle incurvate.
I vecchi sono leggenda. Sono dei miti. Sono racconti colorati di favola. Hanno incise nelle pieghe dei loro corpi stanchi anche tante fatiche. Tante tribolazioni.
Tanto sudore versato, lacrime e tanti sospiri. Si quelli che ritmano l’alternarsi del dispiacere con la speranza di cose buone e belle.
I sospiri di un apparente impotenza di fronte ai fatti della vita ma che scivolano via subito per far posto al coraggio, al non perdersi d’animo al non lasciare nulla di intentato. Loro sanno che c’è sempre una via di fuga e una soluzione a tutto.
Anche dentro l’orrore di una guerra. Di ogni guerra, vicina o lontana che sia.
Loro sanno, nella loro saggezza, quella dei semplici, che basterebbe poco per trovare una soluzione e porre fine a ingiustificati delitti e omicidi. Basterebbe incrociare lo sguardo. Guardarsi negli occhi e far parlare loro.
Gli occhi che penetrano, non conoscono la parola “nemico”.
Siamo uguali. Tutti. Siamo fratelli. Cantiamo e danziamo le stesse antiche danze.
Il colore del sangue che scorre nelle vene è dello stesso colore. Il colore del cuore e, chi c’è là, non può che amare. I vecchi ci insegnano che alla fine ciò che conta non è ciò che hai, ma ciò che sei!
Rivestiti di dolore, hanno perso la fiducia nell’uomo e ricorrono a Colui nel quale hanno creduto da sempre. Segnano sui loro corpi segni di croce accompagnandoli con silenti preghiere. Lo sanno e ce lo dicono: l’unica ancòra di salvezza sta in Dio. Lui solo può arrivare dove non arrivano gli uomini.
Giù le mani dalle donne. Giù le mani dagli uomini. Ancor più, giù le mani dai bambini! Ma come non poter dire, con amara tenerezza: giù le mani dagli anziani. Dai malati. Dai deboli. Dai disabili!
I vecchi della guerra sono quelli uccisi due volte. Vengono ammazzate prima la loro faticosa esistenza con il legittimo desiderio di vivere in serenità gli ultimi tempi di vita terrena e poi la speranza di vedere felici i figli e i figli dei loro figli.
Quegli occhi, un tempo carichi di sorrisi ora vagano mendicanti di un senso da dare a ciò che vedono. Un senso che non c’è.
Una vita a costruire. Lunghi giorni, mesi, anni per edificare e … pochi attimi per vedere tutto demolito. Tutta una vita che diventa polvere.
Quegli occhi vagano alla ricerca di luce e di senso, ma un senso e una luce – a tutto questo - non c’è.
Ora quegli occhi sono di pietra, come le mani incallite, come la pelle indurita dal tempo. Rigati da lacrime assorbite dalla disperazione. Lacrime impigliate nelle ciglia che colorano tutto di grigio e di buio. Ricoperti da un velo di terrore che ci guardano. Vogliono parlarci con la lingua del cuore.
Quegli occhi anziani e stanchi, cercano i nostri. Tremano di paura. No, non può essere che giunti ormai al tempo ultimo della vita, si viva di paura, di terrore, di pianto, di morte procurata.
Ci cercano e ci vogliono dire: almeno voi che questo orrore lo vedete solo nelle immagini, fate qualcosa. Si, aiutateci prima di tutto. Ma più ancora aiutatevi finché siete in tempo a far sì che tutto questo non abbia mai più a ripetersi.
Non schieratevi dalla parte degli interessi di pochi. Spezzate il pane della vita con chi la ama davvero, con chi la cerca, con chi gli è stata spezzata.
Fanno appello alla parte sana del mondo, che grazie a Dio esiste ancora ed è in maggioranza. Gli anziani sono saggezza e consiglio. Sanno per esperienza dove sta di casa il bene. Ce lo vogliono gridare, anche con la voce roca e fiacca.
“Dove ci stanno portando?” chiede una vecchietta disorientata, paralizzata nel corpo e nell’anima, mentre, avvolta da una coperta sotto un soffice berretto di lana, viene adagiata con la sua carrozzina in un pullman che la porterà via, con tutti gli altri, da quello che era il suo mondo, i suoi affetti, la sua sicurezza. Immagini strazianti.
Poco prima erano state due braccia forti di un giovane robusto a sostenerla e accompagnarla. Un giovane vigoroso che se la teneva stretta mentre calpestava ciò che era rimasto a terra dal terribile bombardamento appena passato.
La fragilità di un’esistenza che è una storia sacra, è presa in braccio da chi ha ancora vita davanti a sé.
Agli anziani della guerra è stata rubato e ammazzato il piacere di consegnare ai più giovani il loro mondo bello. Si interrompe la catena della consegna.
“Non importa nonna. Non importa nonno, se mi lasciate nulla di ciò che avete costruito faticosamente. A me basta prendervi in braccio. Sollevare la vostra fragilità e i vostri dolori per portarvi più in là, al sicuro. Per alleviare il vostro dolore, che è il mio, ma che con voi in braccio è afflizione curata e lenita.”
Così sembrano i dire i tanti che si prendono cura degli anziani, dei malati e di chi convive con una disabilità.
Vi prendiamo in braccio, vecchi della guerra. Non tremate e non abbiate paura, anche se questo orrore ha ammazzato anche quella.
Ma mai nessuna guerra, può ammazzare la speranza e voi siete il monumento della speranza! Un faro che ci ricorda che la vita è sacra e mai nessuno ha il diritto di violentarla.
Giù le mani dai deboli! Nessuno gli tocchi se non per stringere loro le mani e guardargli negli per lasciar parlare il cuore.
Gli anziani ti raccontano la loro esistenza una cento mille volte, sempre la stessa storia … sentita e risentita. Ma è quella storia che li sostiene e li fa vivere. Ascoltarli con pazienza è garantire loro di sentirsi vivi. Facciamoli vivere.
Prima o poi lo saremo tutti, anziani, forse malati e fragili. Beh quello lo siamo anche in età giovanile. Non dovremmo mai dimenticarlo: nessun uomo neanche il più potente è esentato dalla sua fragilità.
... continua ...