Listen

Description

Ieri Ursula von der Leyen ha tenuto il proprio primo discorso dello “Stato dell’Unione.” La presidente della Commissione europea ha riflettuto sulla pandemia in corso, sottolineando la responsabilità dell’Europa di proteggere vite umane, e ha delineato i punti centrali del proprio programma per il prossimo anno. Ma Von der Leyen si è esposta soprattuto riguardo gli accordi di Dublino, dichiarando che è necessario superare i meccanismi che regolano la gestione dell’asilo politico all’interno della Comunità europea.

La catastrofe dell’incendio dell’8 settembre a Lesbo ha riportato lo sguardo internazionale sulla sistematica oppressione dei diritti dei migranti, in un momento in cui alla politica nazionale degli stati membri l’argomento non potrebbe interessare di meno. Durante il proprio discorso von der Leyen non ha specificato dettagli su come gli accordi di Dublino andranno superati — l’obiettivo però sembra chiaro: sbloccare il problema della redistribuzione dei richiedenti asilo tra gli stati membri “in cambio” di una politica più puntuale e aggressiva sui rimpatri.

Insomma, si tratterà di una riforma molto meno progressista di quanto molti, ieri, hanno intuitivamente immaginato o sperato. Negli scorsi anni i tentativi di riforma degli accordi di Dublino sono stati molti, sia da parte del Parlamento che della Commissione: ma avevano sempre trovato ostacolo negli stati membri, organizzati nel Consiglio dell’Unione europea.

Gli stati del resto hanno al governo elementi di destra o estrema destra, come il ministro per la Protezione civile greco Chrisochoidis, secondo cui potrà essere legittimo l’uso della forza per costringere i migranti nel nuovo campo di prigionia di Kara Tepe. Chrisochoidis ha promesso in sostanza, se i migranti non faranno troppo chiasso, di portare i primi 6000 rifugiati in Grecia entro Natale, e procedere con gli altri entro la Pasqua successiva. Come non fidarsi? Tutto questo senza che le persone presenti sull’isola abbiano commesso alcun crimine, ma sono persone in fuga da guerre — prevalentemente dall’Afghanistan — costrette a chiedere asilo politico in Grecia.

Gli accordi di Dublino prevedono infatti che i migranti arrivati in territorio Ue debbano chiedere asilo nel primo paese in cui mettono piede: una norma che lascia tutto il peso della gestione della prima accoglienza agli stati di confine, e che gli stati più interni non hanno interesse a mettere in discussione. Finora questo nodo era rimasto apparentemente impossibile da risolvere. Secondo i primi retroscena, la proposta sarebbe dovuta arrivare entro il 30 settembre, ma dopo la presa di posizione di von der Leyen sembra che possa arrivare già il 23. Il giorno successivo si aprirà una seduta speciale di due giorni del Consiglio europeo, dove però difficilmente si parlerà di Dublino — i tempi sono troppo stretti.

Visto che i migranti sono accampati per strada e non hanno tempo di aspettare i comodi della diplomazia europea, si sono rivolti direttamente alla figura più autorevole disponibile: Angela Merkel. Durante le proteste di questi giorni, infatti, si sono visti molti cartelli e striscioni inneggianti alla Cancelliera tedesca e all’Ue, la maggior parte con richieste di aiuto. Questo tradisce ciò che tutti sul continente sanno — il fatto che la Cancelliera sia la persona più potente dell’Ue — e mette nelle sue mani una responsabilità che si è già presa una volta, in passato. All’epoca della grande crisi migratoria siriana, quando tra il 2015 e il 2016 la Germania accolse 1,2 milioni di profughi dal paese mediorientale, tormentato dalla guerra civile.

A distanza di cinque anni, il progetto di accoglienza e inclusione del governo tedesco si è rivelato un successo secondo la maggior parte degli indicatori e delle opinioni raccolte tra tedeschi e migranti stessi, rappresentando — pur con alcuni punti deboli il più vasto progetto di assistenza a profughi e rifugiati dell’Europa del dopoguerra. Nonostante questo, è mal visto dall