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I paesi europei sono arrivati a questo autunno largamente impreparati a una crisi che sapevano sarebbe stata da affrontare. Nel resto del mondo ci sono molti esempi di gestione razionale ed efficace della pandemia — ma non siamo stati capaci di riprodurli.

La settimana scorsa, durante una conferenza stampa, il direttore generale dell’OMS Tedros ha ripetuto che il numero di nuovi casi a livello globale non è mai stato così alto, e ha attaccato direttamente chi solleva l’“immunità di gregge” come una strategia valida per contrastare il Covid–19. Tedros l’ha definita “scientificamente ed eticamente problematica,” e ha sottolineato come “l’immunità di gregge non sia mai stata usata come strategia per combattere un’epidemia in tutta la storia della sanità pubblica.” Parlando con la stampa, il direttore generale è anche tornato a parlare di chi ha contratto il Covid–19 per una seconda volta, e ha sottolineato la centralità del problema degli effetti a lungo termine, di cui abbiamo scritto anche noi pochi giorni fa. La retorica di “tenere duro” un ultimo inverno potrebbe essere una visione altrettanto poco lungimirante: Soumya Swaminathan, la Scienziata capo dell’organizzazione, ha ammesso che difficilmente i giovani e le persone in salute saranno vaccinate prima del 2022. Secondo Swaminathan il vaccino rischia di essere disponibile inizialmente solo in quantità limitate, e per questo sarà necessario essere molto rigidi nel dare la precedenza prima ai lavoratori più esposti, e poi alle persone anziane.

Insomma, nel caso non fosse ancora abbondantemente chiaro, dopo sette mesi, la gestione solo emergenziale della pandemia non va da nessuna parte. Bisogna lavorare a meccanismi che ci permettano di gestire la crisi sul lungo periodo, in modo più costruttivo e con un respiro politico più ampio ed efficace.

Come procede il testing di massa a Qingdao, nel frattempo? Spedito: l’ultimo aggiornamento è di ieri, ed erano stati effettuati 7 dei 9 milioni di test necessari per coprire tutta la popolazione. Finora non sono stati individuate altre infezioni — anche se la Cina mantiene un conteggio separato per i casi asintomatici, per cui potremmo saperne di più nei prossimi giorni. Sono stati individuati, invece, due responsabili: Sui Zhenhua, uno degli ufficiali alla commissione alla Sanità della città, e Deng Kai, il direttore dell’ospedale convertito in Covid hospital per viaggiatori da cui si è diffuso il contagio, sono stati licenziati.

La Cina è stato il primo paese colpito dalla pandemia, ma negli ultimi mesi ha dimostrato come nessun altro luogo di saper controllare il contagio, grazie a misure spesso drastiche ma efficaci come questa. Non si tratta infatti del primo test di massa — lo scorso maggio furono testati anche tutti gli abitanti di Wuhan, e nei mesi scorsi molte altre metropoli cinesi sono passate attraverso campagne intense di testing, tra cui anche Pechino. Dall’inizio della pandemia, nella capitale cinese si sono contati solo 9 morti ufficiali. Per quanto sia legittimo dubitare dei numeri ufficiali cinesi — come, del resto, quelli di tutti i paesi del mondo, Italia compresa — è indubbio che in estremo oriente la pandemia sia stata gestita molto meglio rispetto all’Europa Occidentale.

Il paragone più impietoso per l’Occidente è indubbiamente quello con la Corea del Sud, in cui dall’inizio della crisi il picco giornaliero è stato di 909 casi, e che a fine agosto è riuscita a strozzare una seconda ondata — ora i casi sono da un mese sempre attorno ai 100 tutti i giorni. Il paese — indubbiamente anche perché aveva già attraversato la MERS — è un modello mondiale nella lotta al contagio, forse quello che ha avuto più successo di tutti nel contrastare il virus.

Non si può non osservare i casi in tutta l’Asia e non arrivare alla conclusione netta che tutti i governi abbiano investito più risorse, più soldi, nella difesa della vita delle persone. Non è un caso che i tre paesi che in tutto il mondo hanno gestito meg