Domenica si apre il G7, ma anche questa volta il gruppo ignorerà l’urgenza di sospendere i brevetti dei vaccini. In compenso i leader chiederanno un’altra indagine sulla teoria del complotto del laboratorio di Wuhan
Tra gli obiettivi statunitensi per questo summit c’è la ricostruzione del rapporto di fiducia con i paesi europei, logorato dagli anni di Trump. Ieri ha incontrato Boris Johnson: i due leader hanno firmato una “Nuova Carta Atlantica,” ricalcando con grande modestia l’Accordo Atlantico firmato da Roosevelt e Churchill nel 1941. L’accordo, considerato progenitore della NATO, viene aggiornato per contrastare più esplicitamente Russia e Cina. Se il documento originario conteneva espressioni come l’obiettivo della “distruzione finale della tirannia nazista,” la nuova carta parla di “opporsi all’ingerenza esercitata con la disinformazione e altre influenze malevole.”
Oltre a recitare nella fanfiction di loro stessi, i due capi di stato si sono anche scambiati una serie di battute cringe sul fatto che entrambi avrebbero “sposato sposato entrambi donne di condizione superiore,” secondo Joe Biden, qualsiasi cosa questo significhi. Johnson, reduce dal terzo matrimonio, non ha potuto trattenersi dal commentare che “non ho intenzione di dissentire. Non sono in disaccordo ma non dissento neppure su nient'altro.” Questa simpatia tra i due capi di stato non era scontata, viste le premesse e le tensioni tra i due prima e dopo le elezioni negli Stati Uniti.
In attesa dell’inizio del summit vero e proprio, continuano le anticipazioni: rispondendo all’annuncio che gli Stati Uniti doneranno 500 milioni di dosi ai paesi più sfruttati del mondo, ieri Johnson ha dichiarato che il Regno Unito donerà 100 milioni di dosi avanzate. Johnson ha anche dichiarato che si aspetta che il totale delle donazioni in cui si impegnano gli stati del G7 dovrebbe arrivare nei prossimi giorni al miliardo. L’improvvisa “generosità” dei paesi più ricchi, che hanno monopolizzato in tutti i sensi la produzione di vaccini, lasciando il resto del mondo a raccogliere, appunto, i loro avanzi, è dettata principalmente dal tentativo di limitare la sempre più ambiziosa “diplomazia vaccinale” cinese — il regime di Pechino infatti non partecipa al G7, che anzi è un’emanazione diretta dell’atlantismo.
Già dalle prime settimane dell’anno il governo cinese ha stretto accordi internazionali per distribuire 500 milioni di dosi, a cui hanno fatto seguito promesse di ingenti donazioni economiche per gli stati che hanno bisogno di sostegno nella risposta al Covid–19. Questa settimana, la sola Sinopharm si è impegnata a esportare un miliardo di dosi. Questo sforzo di soft power preoccupa il G7 e anche l’Unione europea, che vogliono al più presto partecipare al tavolo della diplomazia vaccinale.
Intanto, in Cina, la campagna prosegue a ritmi forsennati, con una media di 20 milioni di persone vaccinate al giorno. La capacità di vaccinazione della Cina fa impallidire quanto fatto finora dagli Stati Uniti e soprattutto dall’Unione Europea. Vale la pena citare un fatto emerso con la pubblicazioni dei verbali di febbraio della “task force” italiana: il 15 febbraio 2020 viene rilevata la necessità di aggiornare il piano pandemico nazionale, risalente al 2009. Com’è noto, questa osservazione è arrivata ampiamente troppo tardi, e l’Italia, come tutto l’occidente, si è trovata impreparata davanti al virus. Risultato: la Cina ha avuto in totale circa 4.600 morti, l’Italia molti più di 100 mila.
Gli stati del G7 però hanno deciso di non prendersi le proprie responsabilità e provare a migliorare la propria risposta alla pandemia — anzi: per sviare l’attenzione dai propri fallimenti, il G7 chiederà assurdamente una nuova indagine dell’OMS sulle origini del coronavirus, continuando a giocare con la teoria del complotto senza fondamento sulla presunta origine non naturale del virus e accusando la Cina di essere dietro non meglio specificate “sperimentazioni” o “incidenti di l