In questa puntata di Coralli, il gruppo di lettura dedicato ai lettori e alle lettrici dagli 11 ai 13 anni, presentiamo Le parole possono tutto, di Silvia Vecchini e Sualzo, pubblicato dalla casa editrice Il Castoro.
Sara non parla molto, sono successe troppe cose: l’incidente, la separazione dei suoi, la rottura con la migliore amica. Qualcosa dentro di lei si è bloccato. In un attimo ha visto sfumare davanti ai suoi occhi la promessa di una amicizia eterna, di una famiglia, di una vita felice. Non è riuscita a dire niente, ma, in fondo, cosa avrebbero potuto fare le parole?
Ora si trova a dover svolgere 30 ore di lavoro socialmente utile presso una casa di riposo.
Lì incontra il signor T. che le chiede di aiutarla scrivere l’alfabeto. A cominciare da àlef, la prima lettera dell’alfabeto ebraico. Conoscete l’alfabeto ebraico? Ha qualcosa di incredibilmente affascinante: sarà la forma delle lettere, i suoni, il significato concettuale dei segni, sarà soprattutto che nella tradizione ebraica è dalle lettere dell’alfabeto che tutto ha origine.
Per ogni lettera, il Signor T. racconta a Sara una storia e, come un maestro con la sua allieva, queste storie saranno capaci di farla crescere, di guardarsi dentro, di sciogliere nodi, di farle fare un passo davanti all’altro riparando, aggiustando, costruendo sé stessa.
L’alfabeto ebraico è formato da ventidue lettere, in queste lettere i grandi maestri hanno visto molte cose, tanto che lo studio dell’alfabeto può durare una vita.
La lettera Nun ricorda il piegarsi, il cadere. Indica la capacità di trovare significato nella vita anche nei momenti più difficili.
La lettera Shin indica il cambiamento verso la riparazione e il perfezionamento delle cose.
La lettera Ghìmel la cui forma ricorda un uomo che corre, indica la potenza del progredire. Il suo valore numerico è tre, e allude alla possibilità di unire anche le forze contrastanti in qualcosa di coeso e duraturo.
La lettera Ain: il suo nome è “occhio”, simbolo della sapienza. La sua forma è quella delle radici che entrano in profondità. Richiama la capacità di entrare nel profondo della realtà.
La lettera mem richiama la parola acqua (maim), simbolo dell’amore. È la lettera della semplicità e indica la capacità di essere sé stessi fino in fondo.
Il signor T. racconta a Sara che non sa proprio da che parte ricominciare per mettere ordine nella sua vita che una leggenda narra che ciascuna delle lettere dell’alfabeto supplicò Dio di essere scelta per creare il mondo, per essere la prima. Ma Dio scelse la lettera Bet.
La sua forma infatti è chiusa da tre lati e aperta verso sinistra. L’ebraico si legge da destra verso sinistra, così la lettera Bet sembra una casa con la porta aperta. È come se dicesse: avanza, non preoccuparti di ciò che sta sopra di te, sotto di te e dietro di te, vai avanti. Infatti la Torah, che racconta la creazione, inizia proprio con la parola Bereshit, “in principio”.
E se ascoltare il signor T. fosse un modo per ricominciare?
Ricominciare dopo l’incidente. Perché è successo proprio a lei?
Si tratta di Mikré ha detto il Signor T. della stanza n. 26 della casa di risposo a Sara nel loro ultimo incontro. Significa “sorte”, una parola piuttosto rara, in alcuni casi indica un evento accidentale, altre provvidenziale, altre ancora una specie di appuntamento col destino, ma si deve capire di volta in volta.
Anche se ora viene considerato un anziano molto confuso, uno che non ci sta più con la testa, le storie del signor T raccontano del potere delle parole, della capacità attraverso le parole di dare vita a corpi, sensazioni e stati d’animo. Le persone soffiavano nel suo orecchio la loro preghiera personale e lui la scriveva, nelle loro mani quelle parole tracciate potevano avverarsi.
Le parole possono essere così potenti? Gli aveva chiesto un giorno Sara.
Le parole possono tutto, aveva risposto lui. In ebraico Dabar (davar) vuol dire parola, ma anche “cosa”, la parola fa, crea, fa esistere, accadere. Dunque tieni a mente la differenza tra dire e non dire. E, nel dire, scegli bene le tue parole.
Tav è l’ultima lettera dell’alfabeto e l’ultima lettera della parola emet, verità.
Forse la verità è che dentro ogni lettore e lettrice c’è già qualche parola sta aspettando di nascere.
Parole che potrebbero far iniziare qualcosa di nuovo, anche cambiare qualcosa che c’è già, riparare, salvare, costruire, oppure salutare, lasciar andare.
Le parole possono tutto è una graphic novel, un fumetto, capace di parlare immediatamente ai lettori e alle lettrici più giovani, ma di colpire e lasciare il segno anche nei lettori adulti.
Se avete fatto più fatica del solito a seguire il filo della narrazione non preoccupatevi, è assolutamente normale: il fumetto infatti è un genere letterario estremamente complesso. L’interpretazione si svolge sempre su un doppio binario, quello della parola e quello delle immagini, in un gioco di continui rimandi dove non tutto è spiegabile attraverso il linguaggio. Una modalità di narrazione che affida alle immagini, vere e proprie inquadrature della macchina da presa che il colore flat e tenue contribuisce a rendere pellicola cinematografica, significati profondi che toccano le corde dell’anima lasciandole libere di vibrare e creando, ciascuna, la propria melodia.
Tutto quello che non posso dire non nasce, scrive Vera Lùcia de Oliveira nella poesia Negazione.
I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo, sostiene Ludwig Wittgenstein.
Sì, le parole possono davvero tutto.