Questa virtù genera tre principali disposizioni che ci affrancano da molti pericoli: la diffidenza di sé e la confidenza in Dio; la fuga dalle occasioni pericolose; la sincerità in confessione.
- A) La diffidenza di sé accompagnata dalla confidenza in Dio. Molte anime, infatti, cadono nell’impurità per la loro superbia e presunzione. Lo nota S. Paolo parlando dei filosofi pagani, i quali, gloriandosi della loro sapienza, scivolarono in ogni sorta di turpitudini.
La qual cosa viene così spiegata dall’Olier: “Dio che non può soffrire la superbia in un’anima, la umilia fino in fondo; e sollecito di farle conoscere la sua debolezza e mostrarle che non ha potere alcuno da sé per resistere al male e mantenersi nel bene … permette che sia travagliata da quelle orribili tentazioni e che talora vi soccomba sino in fondo, essendo esse le più vergognose di tutte, e lasciando maggior confusione. Quando invece si è persuasi di non poter essere casti da sé, si ripete a Dio quell’umile preghiera di S. Filippo Neri: “O mio Dio, non vi fidate di Filippo, che altrimenti vi tradirà”.Questa diffidenza dev’essere
universale. È necessaria a coloro che già
commisero colpe gravi, perché la tentazione tornerà e, senza la grazia, sarebbero esposti a ricadere; e non meno necessaria è a coloro che serbarono l’innocenza, perché un giorno o l’altro la crisi verrà, tanto più formidabile in quanto essi non hanno ancora esperienza della lotta.Deve perseverare
sino alla fine della vita: Salomone non era più giovane quando si lasciò vincere dall’amore delle donne; vecchioni erano i due che tentarono la casta Susanna; il demonio che ci assale nell’età matura è tanto più terribile perché si credeva di averlo vinto; e l’esperienza ci insegna che, fintanto che ci resta un pochino di calore vitale, il fuoco della concupiscenza cova sotto la cenere, si riaccende talora con novello ardore.È necessaria anche
alle anime più sante: il demonio ha più brama di far cadere loro che non le anime volgari, e tende quindi più perfide insidie. Lo notò S. Girolamo, concludendone che non bisogna fidarsi né dei lunghi anni passati nella castità né della propria santità o del proprio senno.La diffidenza, abbiamo detto, deve essere accompagnata da
assoluta confidenza in Dio. Dio, infatti, non permetterà che siamo tentati sopra le nostre forze; non ci chiede l’impossibile: a volte ci dà immediatamente la grazia di resistere alle tentazioni, a volte la grazia di pregare così da ottenere grazia più efficace. Il Pontefice Pio XII, nel suo bellissimo discorso alle Ostetriche del 1951, parlando del tema dell’astinenza tra i coniugi quando, ad esempio per le condizioni precarie di salute della madre, devono escludere la maternità, ebbe a ricordare un principio fondamentale ribadito nel Concilio di Trento, il quale, nel capitolo sulla osservanza, necessaria e possibile, dei comandamenti, insegna, riferendosi a un passo di S. Agostino: «Iddio non comanda cose impossibili, ma mentre comanda, ammonisce, e di fare quel che puoi, e di domandare quel che non puoi, e aiuta affinché tu possa».Bisogna quindi, dice l’Olier, “ritirarsi interiormente in Gesù Cristo, per trovare in lui la forza di resistere alla tentazione … Egli vuole che siamo tentati, perché, avvertiti così della nostra debolezza e del bisogno che abbiamo del suo aiuto, ci ritiriamo in lui per attingervi la forza che ci manca”. Se la tentazione si fa più violenta, bisogna gettarsi in ginocchio e levando le mani al cielo invocare l’assistenza di Dio: “Dico, aggiunge l’Olier, che bisogna alzare le mani al cielo, non solo perché questa postura è già una preghiera presso Dio, ma anche perché bisogna dar per espressa penitenza di non toccarsi mai durante questo tempo e di soffrire piuttosto tutti i martirii interni e tutte le noie della carne e anche del demonio, anziché toccarsi”.Prese tutte queste precauzioni, si può fare infallibile assegnamento sull’aiuto di Dio: “Dio è fedele e non permetter