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C’è questo termine che gira nelle conversazioni su intelligenze artificiali. Sì, scusami: magari non ne puoi più di sentire parlare di intelligenze artificiali, oppure non te ne importa niente. Entrambe le posizioni sono legittime.

Però lasciami dire che questo termine riguarda molto altro. Non è un vezzo da nerd, non riguarda solo le AI. Se hai voglia, seguimi.Che cos’è lo slopLo trovi ovunque: social, thread, chiacchiere da ufficio, perfino su Wikipedia. Si scrive SLOP e in origine significa “sbobba, pastone, cibo scadente”. Esattamente come “spam”, che prima di essere email indesiderate era carne in scatola (prodotta dal 1937).

Lo slop, in questo contesto, indica contenuti generati in modo massivo, spesso mediocri, ripetitivi, kitsch. Un Gesù fatto di gamberi (il famigerato Shrimp Jesus diventato virale su Facebook). Poster di film improbabili. Spot pubblicitari iper-generati.Il termine è entrato nel mainstream nel 2024 grazie al programmatore britannico Simon Wilson, ma era già nell’aria. Da allora è stato usato per definire di tutto: meme religiosi, spot politici (Trump incluso), pubblicità discutibili della Coca-Cola, poster di videogiochi, liste di libri inventati dai giornali, fino al mondo della scienza e del lavoro.Quando lo slop arriva in ufficioA settembre 2025 la Harvard Business Review ha pubblicato uno studio su questo fenomeno dentro le organizzazioni. Lo hanno chiamato “workslop”: la sbobba applicata al lavoro.
L’idea è semplice: le AI generative promettevano produttività, ma in molti casi hanno prodotto l’opposto. Presentazioni, report, email plausibili ma pieni di errori. Output senza sostanza. Tempo perso per correggere. Fiducia che crolla.Secondo il campione (1150 dipendenti USA), il 40% ha ricevuto almeno un “workslop” nell’ultimo mese. Ognuno di questi casi costa, in media, quasi 2 ore di lavoro: circa 186 dollari di produttività. Su organizzazioni grandi, parliamo di milioni di dollari al mese.
Perfetto per titolare “l’AI fa male al lavoro”. Ma lo studio dice altro: il problema non è la tecnologia, ma come la usiamo. C’è chi pilota e chi si fa trasportare.

Le scorciatoie senza competenza producono slop.

Non è l’AI che inventa la mediocritàCritiche come quelle di Kate Crawford — che definisce lo slop “caratteristica inevitabile” dei media generativi — hanno fatto scuola. Ma io non sono d’accordo. Non è intrinseco. Lo vedo ogni giorno: chi usa questi strumenti con consapevolezza evita lo slop. Chi li usa per migliorare ciò che già sa fare, evita lo slop.E soprattutto: il brutto non nasce con le intelligenze artificiali.

L’appiattimento dei contenuti viene da molto prima. Viene dal mercato.

Prendiamo le foto stock: sorrisi finti, situazioni stereotipate, immagini intercambiabili. Un’estetica che abbassa il valore degli scatti. O i film commerciali costruiti sulla formula perfetta per minimizzare i rischi: strutture narrative tutte uguali, colpi di scena al minuto giusto calcolati con strumenti di analisi dati.

O ancora il Corporate Memphis — quello stile illustrativo “inclusivo” nato in Facebook nel 2017 — che doveva essere amichevole e invece è diventato simbolo di design senz’anima, facilmente replicabile e inoffensivo.Il brutto non è sintetico. È frutto di incentivi commerciali, di metriche quantitative, di decisioni prese da persone spaventate più dal rischio di un flop che dall’assenza di originalità.L’AI come amplificatoreLe intelligenze artificiali generative non hanno inventato la mediocrità. Semmai la rendono esponenzialmente più efficiente. Se l’intento è produrre contenuti a basso sforzo per massimizzare l’engagement, l’AI lo permette a volumi e velocità prima impensabili. Il valore tende a zero.Il problema è nel mercato del lavoro, nella cultura del “pubblica di più”, “spingi l’engagement”, “massimizza la produttività”. È questo che genera slop. Non le macchine.Come evitarloPer evitare lo slop bisogna scegliere per cosa usare le AI generative. Non sono sostituti del pensiero. Sono strumenti. Producono semilavorati. Sta a noi filtrarli, correggerli, rielaborarli.

Vuoi risparmiare tempo? Devi prima investirlo per addestrare il tuo assistente.

Io ho un GPT personalizzato che ha letto decine (quasi centinaia) dei miei articoli. Ora mi produce bozze e scalette in linea con il mio stile. Ma ci ho lavorato sopra.Collaborare con le AI significa dare contesto, offrire feedback, usare gli output come materia prima da rielaborare insieme. Non copiare prompt da Internet. Non delegare tutto. Pilotare.Una questione di responsabilità (umana)Molte critiche alle AI sono in realtà nostalgia mascherata. Il Merovingio di Matrix Resurrection che rimpiange i bei tempi andati. L’idea che “l’originalità contava” — quando in realtà l’appiattimento c’è sempre stato.
E spesso sono critiche classiste: “non sei capace, fai slop” — come se il brutto fosse solo una colpa individuale.Io credo che possiamo fare di meglio. Prima di liberarci del presunto slop dovremmo liberarci dell’human slop. Le intelligenze artificiali amplificano strategie di cattura e manipolazione dell’attenzione che esistono da decenni. Ma siamo noi a ordinare alle macchine cosa fare.

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