Nel 2019 la giornalista Barbara Schiavulli il Venezuela da Caracas, in una serie-reportage pubblicata su Slow News. Uno di quei pezzi si chiudeva con le parole di OneChot, famoso cantante reggae venezuelano: «La mia missione è contribuire alla democrazia con la mia musica, infondendo un pensiero positivo anche se qui non è facile, penso che bisogni toccare il fondo per sapere cosa conta davvero e questo vale anche per il Venezuela. Eravamo ricchi, egoisti, questa crisi ci ha fatto tornare persone generose, solidali, ora dobbiamo solo tornare un paese normale. Detesto Trump, probabilmente qui lo detestano tutti e so che dove hanno messo mano gli americani hanno fatto solo danni, ma non abbiamo alternative se non ci aiutano, siamo fottuti lo stesso. Non si tratta di scegliere tra nero o bianco, ma tra vita o morte».
Cinque anni dopo, il 10 ottobre 2025, il Premio Nobel per la Pace viene assegnato a María Corina Machado, che si oppone al governo-regime di Nicolás Maduro. La motivazione la definisce “instancabile" nella sua lotta per la democrazia e i diritti civili. Un aggettivo che i media italiani riprendono all’unisono, trasformandolo in un’etichetta.
Nello stesso giorno, senza alcuna eco mediatica, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riunisce d’urgenza: gli Stati Uniti hanno attaccato quattro imbarcazioni venezuelane nel giro di un mese, provocando decine di vittime. Washington parla di operazioni contro i narcotrafficanti, ma Russia e Cina accusano gli USA di comportarsi da cowboy e preparare un’invasione. Nel clima di escalation e propaganda, il Nobel a Machado appare come un gesto politico più che simbolico.
Ne abbiamo parlato con il giornalista Andrea Cegna.
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