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Ci porta nella regione del Ghana, in Africa, la nuova passeggiata stupefacente di Tania Re, psicologa psicoterapeuta specializzata in Antropologia della Salute ed Etnomedicina e membro del Consiglio generale dell'Associazione Luca Coscioni, alla scoperta del Tabernanthe Iboga: un arbusto africano la cui corteccia contiene un alcaloide psicoattivo chiamato "ibogaina".

Da secoli viene utilizzata dalla popolazione bwiti contro l'affaticamento, la fame e la sete, mentre in dosi più cospicue viene utilizzata per i rituali di iniziazione al "sentiero spirituale".

Per i suoi effetti fisici e mentali, viene spesso considerata la versione africana della ricetta sciamanica amazzonica ayahuasca.

Solo ai primi del Novecento l'ibogaina esce dal continente africano, e viene indicata anche in Europa come terapia per il trattamento dell'astenia e come stimolante neuromuscolare.

Negli anni '40 e '50 ne viene studiata l'idoneità come potenziale farmaco cardiovascolare, ma è solo dagli anni '60 che questa sostanza si afferma per il trattamento delle dipendenze.

Lo sviluppo dell'uso del farmaco contenente ibogaina per il trattamento delle dipendenze da sostanze è proseguito fino ad oggi anche se al di fuori dei contesti clinici e medici convenzionali.

Il farmaco in commercio non c'è ancora, ma esistono oggi cliniche dove ci si può “disintossicare” dalle dipendenze, in particolare da oppiacei come l'eroina, proprio grazie a questa pianta.