Da sempre guardiamo con interesse non solo al diventar-altro delle “cose” del mondo, ma anche a ciò che ci sembra non seguire il divenire e che si rivolge all’eternità e all’incorruttibilità dell’essente. Sin dai suoi albori, l’umanità ha intessuto i suoi miti e la sua filosofia con i moti perpetui del cielo. Disegnando le costellazioni tra le stelle, suonando e danzando i cicli delle stagioni, l’umanità ha sempre contemplato l’eternità di ciò che scompare e poi riappare, come il moto del Sole. Siamo da sempre abitati da dimensioni che oltrepassano quello che vediamo solo con i nostri occhi. Sin da quando siamo bambini, infatti, abitiamo mondi che varcano le soglie della mera fattualità. Grazie alla danza butō, mi è capitato più volte di stupirmi dinnanzi a queste esperienze di “espansione della coscienza”. Rimane indelebile, nella mia memoria, quella sensazione di sprofondare al centro della terra pochi giorni prima del funerale di mia mamma. Già da sempre e per sempre, infatti, abitiamo l’eternità. C’è infinitamente altro rispetto a ciò di cui facciamo esperienza e, all’infinito, siamo destinati a fare esperienza dell’infinitamente altro.
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