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Dopo le rovine dei paesi non si videro più uomini e la montagna si fece aspra e solitaria.
Eravamo intimiditi e taciturni, incerti se il nostro andare avesse il filo delle ore, dei secoli o delle ere geologiche.
Fu dall’orlo della conca di Castelluccio che ci apparve Norcia, novecento metri più in basso.“Sembra Aleppo”, sentii dire da un indigeno della botta tremenda sulla città.
Uscimmo sulla piazza principale.
Metà degli edifici si erano seduti su se stessi.Le rovine della Cattedrale erano illuminate di giallo dalle fotoelettriche.
Dietro il rosone, la navata non c’era più.
Fu lì che vidi la statua, illuminata a giorno al centro della piazza.
Cosa diceva quel santo benedicente, in mezzo ai detriti di un mondo?
Diceva che l’Europa andava alla malora?
La Gran Bretagna aveva appena votato per uscire dall’Unione e io ero forse davanti alle macerie di una grandiosa idea politica?
Lo spirito di Ventotene era finito?
Il messaggio sembrava trasparente.Il ritorno degli egoismi nazionali diceva di una balcanizzazione in atto su scala continentale.

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Riuscirono a salvare l'Europa con la sola forza della fede.Con l'efficacia di una formula: ora et labora.Sono i discepoli di Benedetto da Norcia, il santo protettore d'Europa. Paolo Rumiz li ha cercati nelle abbazie, dall'Atlantico fino alle sponde del Danubio.Un viaggio che è prima di tutto una navigazione interiore.

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