Ieri sera, insieme ad alcuni di voi, ero alla Casa della Carità di Borgo Panigale per la festa della Visitazione. È sempre un momento molto bello, una serata splendida, resa ancora più intensa dalla presenza del Cardinale. Ero pieno di emozioni, anche perché nel pomeriggio avevamo celebrato insieme alla mia famiglia di San Martino e della Dozza.
Durante la messa prefestiva dell’Ascensione, eravamo nel parco. A un certo punto ho alzato gli occhi al cielo, mi sono distratto, e mi è venuto spontaneo chiedermi: “Signore, sei salito al cielo… ma dove sei andato?”. Mi sono immaginato di usare Google Maps per cercarti: allargo l’orizzonte… e dov’è finito il Signore? Perché davvero, il Vangelo ci dice che Gesù è salito al cielo con il suo corpo, e i discepoli sono rimasti lì, imbambolati, come un po’ lo eravamo anche noi.
L’Ascensione: una festa che ci interroga
Dopo quaranta giorni straordinari in cui Gesù si è mostrato risorto ai discepoli, con i segni della croce ancora visibili, si apre questo mistero: perché è dovuto salire al cielo? Non ci ha forse abbandonati? Ha detto “Io ho fatto la mia parte, ora arrangiatevi”? È lì, seduto alla destra del Padre a guardarci dall’alto?
E allora ho abbassato lo sguardo e ho guardato l’assemblea: c’era di tutto — vecchi, giovani, malati, sani, vescovi, diaconi, bambini, musicisti… un bel popolo, come quello che ho davanti oggi. E mi sono detto: “Ecco, forse questa è la Tua presenza, Signore. Sei in mezzo a noi così, attraverso questa umanità viva”.
Un’umanità nuova accanto al Padre
L’Ascensione ci dice che Gesù è salito al cielo con la nostra carne, con la nostra umanità. Quando è sceso sulla terra, era già presso il Padre, ma è venuto a prendere su di sé la nostra condizione. Ora, quando ritorna, non è più lo stesso: ci torna con le ferite, con l’esperienza della vita vissuta tra noi.
La liturgia lo dice chiaramente: ha innalzato la nostra umanità accanto al Padre. La Lettera agli Ebrei ci parla del cielo come del santuario vero, in cui Gesù entra per comparire davanti a Dio in nostro favore. Non lo fa per sé, lo fa per noi. E questa è una notizia meravigliosa: adesso c’è un legame diretto, vivo, forte tra noi e Dio.
Lui è con noi, in ogni persona
Ma non finisce qui. Prima di salire al cielo, Gesù ha detto: “Io sono con voi. Rimango con voi.” Ma come? Attraverso di noi. Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino è la Sua presenza nel mondo. Noi siamo le Sue membra, e Lui è il capo.
I padri della Chiesa ci ricordano quell’episodio con Paolo: “Perché mi perseguiti?” — Gesù si identifica con i Suoi. E anche quando dice: “Ero malato e mi avete visitato”… Lui è lì, nella nostra carne, non solo come spirito, ma concretamente nelle persone.
Vederlo nei bambini è più semplice, con la loro purezza, la bellezza, le famiglie meravigliose che li accolgono con amore. E io ringrazio di cuore tutte le famiglie. So che non è facile, ma state facendo la cosa più bella che si possa fare: crescere dei figli nell’amore. Ci date un grande esempio e dovremmo davvero starvi più vicini.
L’umanità ferita e dimenticata
Ma non possiamo fermarci qui. Gesù è presente in ogni uomo e in ogni donna, anche in chi soffre, in chi è scartato, nei malati, nei poveri, nei dimenticati. Dobbiamo allargare l’orizzonte, vedere tutta l’umanità.
E oggi vediamo troppa sofferenza. La guerra, i bambini martoriati, la fame… è uno scandalo. È una vergogna per noi. Perché se Cristo è presente in ogni essere umano, allora è Cristo che oggi è affamato, è colpito, è abbandonato. E noi, che spesso trascuriamo questa carne, la lasciamo sola.
Ma proprio lì, nel patire, c’è la Sua presenza. Il Vangelo lo dice: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà.” In quel “patirà” c’è il dolore di tutta l’umanità.
Una missione affidata a noi
E poi Gesù affida ai Suoi discepoli — e anche a noi — una missione: andare in tutto il mondo, predicare la conversione e la salvezza. Perché la Sua carne, che oggi è il mondo, aspetta l’annuncio della vita e della speranza.
Non basta dire “siamo membra di Cristo”: queste membra vanno evangelizzate, curate, custodite, amate. E per questo ci promette lo Spirito Santo.
Una vita abitata da Dio
Gesù dice: “Rimanete in città. Riceverete ciò che il Padre ha promesso.” Domenica prossima sarà Pentecoste, e lo Spirito verrà a prendere dimora in noi. “Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.” Ogni persona diventa abitazione di Dio.
Quindi, da una parte Gesù torna al Padre con la nostra carne; dall’altra ci lascia il dono dello Spirito per rendere divina la nostra vita. Ci dà la possibilità di vivere nella carità, nella speranza, nella comunione.
Una gioia che ci accompagna
Alla fine del Vangelo si dice che i discepoli, dopo l’Ascensione, si prostrano, tornano a Gerusalemme con grande gioia e stanno sempre nel Tempio lodando Dio. Ecco la gioia che voglio portarmi a casa oggi, e che invito anche voi a custodire.
Non è una gioia di evasione, non è per fuggire dalla realtà, ma è il desiderio profondo di vivere pienamente l’umanità di Gesù che siamo noi, visitata dallo Spirito e illuminata dal Suo amore.
Questi bambini che vedo davanti a me sono un esempio meraviglioso, ma da lì dobbiamo imparare a vedere Cristo in ogni uomo e in ogni donna, soprattutto nei più fragili. Restiamo anche noi nella gioia di Gerusalemme, lodando il Signore e aspettando con fiducia il dono dello Spirito, per vivere in pienezza la Sua presenza in mezzo a noi.