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La promessa di un cielo nuovo e di una terra nuova
(letture della 3a messa Sap 3, Ap 21 e Mt 5)

Oggi mi sono soffermato in modo particolare sulla seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, perché parla in maniera sorprendente di ciò che ci attende: la meta del nostro cammino e la promessa che il Signore ci ha fatto. Si tratta dell’ultimo capitolo della Bibbia, quindi siamo proprio al culmine della Rivelazione. Giovanni dice: “Vidi un cielo nuovo e una terra nuova”. Questa novità non è un semplice restauro del mondo vecchio, ma un mondo completamente nuovo: il cielo e la terra di prima non ci sono più. È un inizio assoluto, una creazione rinnovata in cui Dio vuole condurci.

Collego questa visione alla commemorazione di tutti i defunti. La prima lettura del Libro della Sapienza ci ricorda che, ai nostri occhi, la morte dei nostri cari appare come una sciagura, una rovina. Ci sembra una separazione definitiva, e il dolore del distacco — soprattutto quando è improvviso o colpisce una vita giovane — può essere quasi insopportabile. Ma la fede cristiana ci invita a cambiare sguardo: a non fermarci alla nostra perdita, ma a considerare il cammino di chi è passato oltre, verso la vita nuova.

La morte come passaggio e compimento

Ogni vita è già nel cuore e nel pensiero di Dio fin dalle origini. La nostra esistenza ha un senso, una direzione, una pienezza che si compie proprio nel passaggio alla vita eterna. La morte, dunque, non è la fine ma una trasformazione, un ingresso in una realtà trasfigurata, piena di pace. L’Apocalisse ci dice che il mare — simbolo del male e del caos — non ci sarà più: nulla potrà più dividerci da Dio.

Ecco la grande promessa: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose.” È un rinnovamento totale, non solo spirituale ma cosmico, in cui anche noi siamo chiamati a entrare quando iniziamo la vita eterna.

La Gerusalemme nuova: Dio che viene ad abitare con noi

Giovanni vede poi la Gerusalemme nuova, la città santa che scende dal cielo. È un’immagine splendida: non siamo noi che saliamo a Dio, ma è Lui che scende ad abitare in mezzo a noi. La città è il simbolo della comunione: un luogo di convivenza, di relazioni, dove Dio stesso pone la sua tenda tra gli uomini.

Questa città — la Gerusalemme celeste — è la dimora dei santi e di tutti i nostri cari defunti. È come una città immensa che accoglie l’intera umanità redenta. Mi piace immaginare che contenga davvero tutti: si parla di miliardi di persone, eppure Dio li accoglie tutti in sé.

Questa visione ci fa capire che la comunione non è solo una realtà futura, ma qualcosa che deve cominciare già qui, in mezzo a noi. Come Gesù è sceso a farsi uomo, così questa città scende ora sulla terra per abitarvi. È la comunione che Dio desidera instaurare tra cielo e terra, tra vivi e defunti, tra noi e Lui.

L’acqua viva e l’eredità dei figli di Dio

Alla fine della visione, Dio promette di dare gratuitamente da bere alla fonte dell’acqua viva. È un’immagine meravigliosa: la vita eterna è un dono che si riceve continuamente. E aggiunge: “Chi sarà vincitore erediterà questi beni.” L’eredità non è qualcosa che si conquista, ma che si riceve per il semplice fatto di essere figli.

Le beatitudini ce lo ricordano: “Beati i miti, perché erediteranno la terra” e “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.” Vivendo il Vangelo, vivendo le beatitudini e la vita di Gesù, noi già ora entriamo a far parte di questa Gerusalemme. Ci dissetiamo ogni giorno a quella fonte di acqua viva che è la grazia di Dio.

La comunione dei santi e la nostra preghiera per i defunti

I nostri cari defunti vivono già in questa comunione con Dio, nella luce piena. In un certo modo ci aspettano, preparano per noi un posto. Tuttavia, la Chiesa ci insegna che alcuni possono avere ancora bisogno di un cammino di purificazione. Per questo la nostra preghiera, e in particolare la celebrazione eucaristica, ha un valore immenso: essa aiuta chi è in cammino verso la pienezza della comunione divina.

Ogni Messa è un ponte tra cielo e terra: l’assemblea terrena e quella celeste si uniscono in un’unica lode. Così, quando celebriamo l’Eucaristia, partecipiamo già al banchetto eterno che Dio ha preparato per noi. È la promessa che ci ha fatto: “Ecco, io sarò il loro Dio ed essi saranno mio popolo.”

Vivere già ora la comunione promessa

Pregando oggi per i nostri defunti, non guardiamo solo indietro con nostalgia, ma in avanti con speranza. Il nostro cuore si apre alla comunione che già vivono coloro che ci hanno preceduto. Attraverso la liturgia, l’amore reciproco e la fedeltà alle beatitudini, anche noi ci prepariamo a entrare nella Gerusalemme nuova, dove Dio asciugherà ogni lacrima e tutto sarà definitivamente nuovo.